Dopo i primi giri di acclimatamento, mi era risultato subito chiaro cosa non andava in quello che avevo fatto fino a quel momento: lo sci-alpinismo era diventato troppo competitivo e sudare come una matta sulle montagne ogni fine settimana senza mai veramente entrare in contatto emotivo con essa, saltando da una gara all’altra, non mi dava più alcuna gioia. Sapere che al colpo dello starter dovevo abbassare la testa e far correre le gambe il più possibile, senza avere neanche un istante per guardarmi intorno.
Certo, mi piaceva come sfogo, come sfida, ero cresciuta nello sport, ma mi rendevo conto che della montagna vera e propria non avrei mai goduto molto. Se anche c’era bel tempo, il giorno prima della gara era impensabile godersi una bella gita, perché la mente era già stravolta al pensiero della gara e si dovevano risparmiare le energie. Sentivo la neve candida e bella fresca che mi chiamava a sé, osservavo per pochi istanti questi pendii da sogno, ma dovevo solo fare in fretta. Quello di cui invece avevo bisogno era il contatto con la natura, poter farne parte ed entrare in comunione con quello che c’era attorno alla neve.