Lo sport utilitaristico
Come gli allenatori trasmettono i valori.

Tuffarsi era un’altra freccia all’arco dei centravanti. Un’arma necessaria, a ben vedere. Fuori dall’area di rigore beccavamo impunemente calci, gomitate e spintoni, ma nell’area e nelle sue vicinanze l’equilibrio delle forze si spostava a favore dell’attaccante, il quale, con le buone o con le cattive, poteva guadagnarsi un rigore o – e questo era l’apice della furbizia – far espellere l’avversario.

Non si tratta certo di un esempio di sportività. Si può dire anzi che in questo caso la sportività venga ignorata, mettendo al di sopra di tutto il fine, il risultato. Penso che tale atteggiamento sia dovuto agli allenatori delle squadre giovanili in Italia. Troppi non fanno questo mestiere per la soddisfazione di insegnare ai ragazzi (probabilmente non si considerano neppure degli insegnanti), ma per ambizione personale. Vogliono vincere trofei e campionati, magari farsi strada nei ranghi degli allenatori fino al professionismo. Misurano il valore di un tecnico secondo la classifica a fine stagione. Non si interessano allo sviluppo personale dei ragazzi, pensano che non rientri nei loro compiti. Nella loro esperienza, i valori sono qualcosa che i ragazzi dovrebbero imparare dai genitori, non da un allenatore. Il loro lavoro non è pedagogico.

«In Italia, a livello giovanile, impari a essere intelligente e tatticamente astuto» afferma Marcello Lippi. «Giochi il sabato e passi tutta la settimana a prepararti per la partita. Siamo ossessionati dal risultato. Non è come negli altri Paesi, dove si preoccupano di giocare e migliorare e il risultato è secondario».

Gianluca Vialli