Ma non è questo il problema più importante, nel campo in questione. La vera difficoltà nasce dai tentativi di McDonaldizzare gli sport per raggiungere risultato numerici più alti che si può a detrimento della qualità del gioco.
Nel basket la tendenza è rappresentata dai 24 secondi per professionisti e dai 35 secondi per le gare nei college, tempi concessi alla squadra in possesso di palla per tentare il canestro. Non tanto tempo fa il basket era un gioco molto più tranquillo. Una squadra poteva portare palla per il campo e prendersi tutto il tempo necessario per mettere un giocatore in condizione di fare un buon tiro. I tifosi di una volta si esaltavano davanti alle strategie e alle manovre messi in atto in questa operazione.
Sul finire della gara, la squadra con un vantaggio anche minimo poteva cercare di “congelare” la palla, vale a dire evitare di arrischiare un tiro difficile che, se fuori canestro, poteva regalare all’avversario il possesso di palla e la possibilità di ridurre, o persino strappare, il vantaggio.
Nel corso degli ultimi decenni la direzione del basket professionistico e universitario ha deciso che i tifosi cresciuti nell’età di McDonald’s avevano bisogno di assistere a gare più veloci e di vedere un maggior numero di canestri. In altre parole, che volevano dal basket la stessa cosa che ricevevano dai fast-food, cioè gran velocità e grandi quantità.
Si credeva, evidentemente a ragione, che partite più veloci e con punteggi più alti avrebbero significato pubblico più numeroso e maggiori incassi. Sicché la comparsa della regola dei 24 e 35 secondi portò a gare più dinamiche e con punteggi più alti, nelle quali molti più canestri venivano tentati e realizzati. Ma molti appassionati di questo sport hanno la sensazione che questo stile “corri e tira”, indotto dai segnatempo, abbia rovinato la qualità del gioco. Addio tecniche di gioco individuale e di squadra che rendevano il gioco così allettante per i puristi.