La bellezza nel calcio
Venerare il talento e la tecnica al di sopra di ogni altra cosa.

Questo probabilmente nasceva dal fatto che era professore di letteratura al liceo e aveva un amore profondo per l’arte. Passava le mattinate a spiegare ai suoi studenti come apprezzare la bellezza della grande letteratura e i pomeriggi ai giovani giocatori come creare bellezza nel calcio. Era un personaggio che si farebbe fatica a trovare nel calcio giovanile di oggi, specialmente in Italia, per non parlare di quello professionistico: impersonava il detto “Non importa se si vince o si perde, l’importante è come giochi”. E più d’ogni altra cosa voleva che giocassimo un bel calcio. In effetti, credo davvero che il risultato non gli importasse. Quello che gli stava a cuore erano i passaggi, il movimento, il controllo… tutti gli elementi tecnici che costituivano la sua idea dell’estetica calcistica.

Fino ad allora, giocando con gli amici all’oratorio o nel cortile sotto casa, mi ero sempre sentito libero di provare, di sperimentare. Non avevo paura di sbagliare, non perché non mi importasse vincere – sono sempre stato competitivo – ma perché volevo trovare nuovi modi per farlo. In effetti, forse è per questo che sono diventato un giocatore completo, uno che sapeva fare benino tante cose anziché essere eccellente in un aspetto e carente negli altri. Non sono mai stato il più veloce, il più forte, o il più abile, ma potevo fare quasi tutto discretamente, ed ero voglioso di mettermi alla prova. Non a caso ho giocato in diversi ruoli, da centrocampista centrale ad ala, a centravanti.

Se la mia prima esperienza con il calcio organizzato fosse stata con un allenatore diverso, uno di quelli che invece di incoraggiare la tecnica e il buon calcio mettono il risultato davanti a tutto, forse sarei diventato un giocatore diverso, magari avrei persino abbandonato del tutto il mondo del calcio. Cistriani mi consentì di crescere a modo mio, nell’ambito della sua visione del calcio, che a me sembra quella giusta, specialmente per i bambini. Se avesse avuto l’ossessione della vittoria, mi avrebbe fatto concentrare sui miei punti di forza invece che lavorare su quelli deboli. Oppure mi avrebbe insegnato a non rischiare, a fare il minimo indispensabile per vincere, a non correre troppo, a risparmiare le forze… Cose importanti nel calcio ma che, francamente, non dovrebbero trovare spazio nella visione del mondo di un tredicenne.

G. Vialli
Dal libro The Italian Job