Per cosa giochiamo?
Quando a grandi atleti veniva chiesto cosa pensavano
durante la loro migliore performance essi rispondevano
tutti che effettivamente non pensavano a granché.
L'illuminante risultato di un esperimento paradossale.

Molti anni fa partecipai con Tim Gallwey ad un congresso di venditori di una grande società americana. Inutile dire che le persone che si occupano di vendita sono molto competitive. Non solo amano la competizione ma ne sono convinti. La competizione è il punto di tutto: essere vincenti nel campo delle vendite è lo scopo ma anche il compenso. E questo è vero sia per il business sia per la persona.

Questo congresso di venditori era in effetti un’assemblea di vincenti, la dimostrazione che erano non solo i migliori dell’azienda ma probabilmente i migliori dell’industria e forse i migliori del mondo.

Dopo aver presentato l’Inner Game Training, Tim accettò di organizzare il tradizionale torneo di tennis. Dopotutto i vincenti amano i tornei e qui avevano a loro disposizione un noto autore nonché trainer disponibile a fare il maestro di cerimonia dell’evento. Ma Tim non voleva semplicemente presiedere; pensava che il torneo di tennis potesse essere – ponendo la semplice domanda: “A quale gioco stai veramente giocando?” – un’occasione unica di apprendimento per ogni partecipante.

Tim, quindi, propose che il vincitore di ogni partita uscisse dal torneo e il perdente passasse al round successivo. Pensate chi perdeva era premiato mentre chi vinceva veniva spedito in panchina! Ma se queste sono le regole, perché giocare se “vincere” non porta da nessuna parte? Era proprio questo il punto. Ogni giocatore dovette confrontarsi sul perché giocava. La risposta convenzionale, specialmente fra i venditori, è che essi giocano per vincere. La risposta di Tim fu che vi era un gioco migliore da giocare che consisteva nel giocare per apprendere, nel giocare per realizzare il proprio potenziale. E ironia della sorte se si fa questo la propria prestazione migliora.

Lo scopo di un torneo dove i perdenti passano il turno e i vincitori tornano a casa era chiarire ai partecipanti se fosse nel loro interesse vincere o perdere. Se battevano il loro avversario, essi sarebbero effettivamente stati dei perdenti. Se avessero perso sarebbero stati trattati come vincitori. Alla luce di questo essi erano liberi di spostare il focus dal vincere o perdere al giocare come esperienza in se stessa, giocare per vedere quanto bravi potessero diventare. Filosoficamente veniva loro richiesto di smettere di danzare al suono di una musica definita dal mondo esterno e suonare in accordo con il loro più intimo sentire.

W. Tim Gallwey