La capacità di dare organizzazione è probabilmente la mia qualità più spiccata, ma se guardo indietro, le cose migliori sono nate per caso. Le cose migliori hanno dribblato ogni mia organizzazione. Forse tutta questa regola esiste per fare spazio all’errore che ti apre un nuovo file nella testa, alla casualità di un incontro che improvvisamente ti fa arrossire e riscoprire un’emozione che credevi di aver perduto, ad uno scarto laterale che ti fa scoprire un nuovo sentiero.
Ieri camminando nel bosco, durante il seminario di Anatomia Esperienziale sul camminare, ascoltando il movimento del corpo, abbandonando ogni impulso di guardare avanti, di pensare dove stavo andando, mi sono accorta che stavo semplicemente scegliendo di non cambiare sentiero, stavo metaforicamente evitando i rami secchi, stavo facendo spazio al mio respiro.
E non c’era una testa, una gamba, un piede che inciampava.
C’era solo l’andare e lasciare che tutto il mio corpo andasse dove il terreno lo portava. Ma la cosa che più mi colpisce è che oggi, il giorno dopo, ho una straordinaria capacità di guardare alle cose e di tagliare i rami secchi. Quegli stessi rami che, un mese fa, mi sembravano ulivi secolari. Pieni di frutti. E che tagliando questi rami sto facendo spazio.
E il criterio di questa potatura è proprio il capire che tutto quello che non è pensato col corpo, che tutti i progetti estremamente mentali, che tutta l’organizzazione a priori, questa roba non mi funziona più. Che io devo mettere le mani nei colori, gli occhi nella luce della finestra, le papille devono bruciare di spezie, i progetti devono nascere dal corpo, e non devo per forza decidere dove metto i piedi.
Come ogni volta che faccio un seminario di Anatomia Esperienziale, il giorno dopo la vita inizia ad organizzarsi da sé, prende una forma diversa, improvvisamente le scelte diventano mature, le paure spariscono. E mi scopro più vera, più onesta, più ricca.
E il bello è che da questo sentiero non hai più voglia di tornare indietro.