Anatomia esperienziale e yoga
L’esperienza é il solo insegnante
in cui possiamo confidare.
Leonardo da Vinci
Conoscere la vera natura del nostro organismo e del suo funzionamento in forma esperienziale.

Intervista realizzata da Lucia Passardi direttrice dell’edizione spagnola di YOGA JOURNAL

Intervista a Tere Puig (insegnante di Yoga e scrittrice, si occupa della promozione di cambiamenti di tipo culturale. Il suo approccio alla professione e ai progetti è stato influenzato dagli studi in ingegneria, educazione sociale e anatomia esperienziale e il suo insegnamento si caratterizza per un orientamento verso leducazione somatica, frutto di un approfondimento personale di come lo yoga agisce sulle diverse dimensioni dell’essere umano. Il suo modo di intendere la pratica l’ha portata a pubblicare diversi libri sia per bambini che per adulti in cui illustra questa particolare prospettiva nei riguardi del funzionamento del corpo e della mente. È coautrice del libro Essere Corpo, pubblicato da TEA libri. Da alcuni anni tiene una formazione di Anatomia esperienziale applicata allo Yoga a Barcellona.)

YOGA JOURNAL: Che cos’è l’anatomia esperienziale?

TERE PUIG: Il modo classico di imparare l’anatomia in Occidente passa attraverso libri e spiegazioni. Questo tipo di informazioni vanno direttamente all’intelletto che a quel punto si mette a cercarle nel corpo. Ciò che di solito succede è che però che non si riesce a trovare una corrispondenza diretta tra le illustrazioni, o ciò che è stato comunque spiegato, e ciò che si sente e percepisce. Di conseguenza screditiamo ciò che proviamo per “credere” a quanto ci è stato detto o mostrato: tendiamo cioè a negare ciò che la nostra esperienza sensoriale ci sta dicendo. Qui si tratta invertire il percorso. Invece di guardare prima il libro e poi andare nel corpo a vedere se trovo quello che dice il libro, prima vado nel corpo, e poi eventualmente cerco conferma sui libri.

Succede spesso che rispetto ad alcune predeterminate idee di allineamento che riguardano specifiche asana, quando si cambiano scuola o insegnanti, le informazioni si contraddicano tra loro…

Questo succede quando si ha una visione parziale dell’allineamento. Ad esempio: penso di allineare il bacino con il torace e la testa. Ma a tutto ciò che sta nel mezzo cosa succede? Oppure quando si ha a che fare con un’idea intellettuale di cosa significhi ‘allineato’. Molte persone associano l’allineamento con il rettilineo. Il concetto di allineamento ha invece a che fare con il concetto di equilibrio, con la posizione che consente la massima trasmissione di forza e movimento con il minimo sforzo. Quando entri nel corpo e senti, tutti i conflitti di visione di cui parlavi si dissolvono.

A volte, per quella che è stata la mia esperienza, pensiamo che quello che ha funzionato per noi possa essere valido anche per gli altri. Ma non è così. La posizione in cui la persona trova e sente questo equilibrio non può essere la stessa per tutti. Perché ogni corpo è diverso e il gioco di forze che ci mantiene in un allineamento ottimale è un’organizzazione unica, dinamica e individuale. Non possiamo insegnare e pensare come se tutti avessimo lo stesso corpo o le stesse condizioni di salute… e non è una questione di approvare un metodo e squalificarne un altro, ma solo di contestualizzare. In questo caso è tutto “assolutamente vero”, nella misura in cui viene contestualizzato.

Come possiamo creare linee guida per una classe composta da partecipanti che presentano diverse condizioni di salute?

Mi sono resa conto ben presto che la “ricetta” che avevo elaborato nel corso delle diverse formazioni fatte funzionava per determinate situazioni, ma non per altre. E che peraltro non si può certo sapere in quale condizione si trovi internamente la persona a cui si sta insegnando (prova solo a immaginare se ad esempio un’insegnante di 20 anni si ritrova a insegnare a persone di una certa età).

Questi problemi si risolvono da soli quando ciò che insegni a una persona è il riconoscere la propria condizione, e questo si ottiene sviluppando la sua sensibilità interna. Il primo passo è perciò quello di incrementare la capacità di percezione della persona a cui insegno. È in questo modo che deciderà come posizionare il proprio piede per raggiungere l’obiettivo che si sta cercando. Solo la persona che sta praticando sa esattamente cosa sta succedendo in quel momento all’interno del proprio corpo, per cui ciò a cui miriamo è attrezzare le persone di una conoscenza interna del proprio corpo affinché possano trasmettere ciò che gli accade. È solo a quel punto che puoi utilizzare delle conoscenze tecniche per poterti organizzare fisicamente nel modo più funzionale affinché la pratica ti conduca nella direzione che si sta rivelando quella di cui hai più bisogno. Tanto nella formazione, così come del resto nella conduzione delle sessioni individuali o di gruppo, ciò che in pratica offro è una guida agli asana attraverso la sensazione.

Su che base la persona che sperimenta questa metodologia decide in che direzione muoversi?

Basandosi soprattutto su una sensazione di piacere. Il piacere non è altro che ciò che soddisfa il tuo bisogno più urgente. Non si può dire che l’acqua potabile sia sempre il piacere più grande, ma in certe situazioni lo è: per esempio quando abbiamo sete. Nelle sessioni, può essere un piacere anche affrontare qualcosa di difficile.

Inizio sempre dando una linea guida abbastanza chiara su quale sia l’intenzione del movimento o dell’asana. Potrei dire, ad esempio: “Proveremo alcuni espedienti per rilasciare le tensioni a livello pelvico e consentire che il respiro vi arrivi in profondità”. In questo caso è utile entrare in contatto con l’elemento acqua e l’esperienza del peso.

Nel corso della dinamica relativa all’intenzione espressa, lascio spazio a delle domande pertinenti: “Sentite il ​​peso? Sentite come si muove il peso quando vi muovete?” Se alcune persone hanno difficoltà a percepire, le invito a continuare a cercare la percezione del peso, modulando la postura per mezzo dei suggerimenti che ritengo più appropriati. Ma soprattutto, dando loro la libertà di seguire ciò che essi stessi pensano essere la strada migliore. Il nostro corpo, tra tutte le opzioni, sceglierà sempre quella più piacevole, cioè quella che copre i nostri bisogni urgenti col minimo sforzo e col miglior risultato.

È un modo per conoscere la condizione in cui si trova il corpo della persona che sta praticando, e soprattutto perché la persona stessa la possa riconoscere. L’errore che come insegnanti o formatori facciamo più comunemente è di contrastare ciò che accade davvero a chi pratica con ciò che crediamo stia accadendo, che in genere non è che una proiezione della nostra esperienza personale. E dare istruzioni a una persona partendo da un’idea erronea rispetto alle condizioni del suo corpo e della sua psiche è altrettanto rischioso quanto curare qualcuno partendo da una diagnosi sbagliata.

Qual è l’intenzione di fondo di questo modo di lavorare?

L’intenzione di questo approccio è quella di mettere le persone in contatto col proprio sentire e con le proprie capacità innate. È fondamentale riacquistare fiducia nelle proprie sensazioni e nella capacità di generare nuove conoscenze che nascono dall’interno. Non mi gratifica che le persone dipendano da me, mi gratifica vedere le persone sviluppare una propria autonomia. Ci sono momenti nella vita in cui abbiamo bisogno di dipendere e ci sono momenti in cui non ne abbiamo più bisogno e diventa un ostacolo.

Quando la persona sente la necessità di esplorare le proprie sensazioni e seguire ciò che il corpo le chiede, è segno che si sta avvicinando a questo stadio. Quando, come nella maggior parte dei casi, ciò che ci dà tranquillità è avere delle linee guida concrete da seguire, è segno che per il momento non stiamo cercando l’autonomia in quel campo. E rispetto a questo, ciò che per me conta di più, non è se ci troviamo in una condizione o nell’altra, ma la consapevolezza che ne abbiamo e l’avere a disposizione degli strumenti per poter passare da una condizione all’altra quando eventualmente decidiamo di farlo. Questa è una delle capacità caratteristiche di un approccio organico allo Yoga.

Iniziare a praticare con questo tipo di approccio può essere difficile?

Tutti noi abbiamo percorsi molto individuali. È vero che a me personalmente è servito percorrere un processo piuttosto lungo, ma non è assolutamente detto che siano necessari 20 anni per arrivare a praticare in questo modo. Perché, se per certi versi rimane vero il principio per cui “prima arriva la tecnica e poi l’arte”, in realtà quando incorporiamo l’anatomia esperienziale nella nostra pratica Yoga, ‘siamo già nell’arte’, prima ancora di aver bisogno di padroneggiare la tecnica. Ci sono persone che sono praticamente già pronte a questo approccio senza aver dovuto superare chissà quali percorsi.

Il sistema nervoso è in continua evoluzione e, a volte, le esperienze di vita ti possono portare a una condizione per cui puoi integrare questo modo di praticare fin dall’inizio. In genere le persone che si tengono lontane da un approccio di questo tipo sono quelle che ritengono che lo Yoga che praticano sia già perfetto e il migliore in assoluto. Queste persone evitano questo tipo di approccio perché quando si utilizza un approccio esperienziale all’anatomia e allo yoga si rimette alla prova tutto senza fare sconti. In questo modo, non costruiamo più la nostra pratica su regole, immagini e concetti astratti di cui ci dobbiamo fidare, ma sulle solide fondamenta di ciò è stato sentito e provato.