Attraverso l’analisi scrupolosa delle registrazioni audio di alcune sedute di psicoterapia, Gendlin e i suoi collaboratori dimostrarono che la componente cruciale non era né il tipo di terapia praticato né l’abilità del terapeuta, quanto piuttosto una speciale capacità che i pazienti che avevano successo manifestavano sin dalla prima seduta e che mancava invece a coloro che non avevano successo: la capacità di entrare in contatto con le questioni che li disturbavano e parlarne alla luce di un’esperienza non concettuale e fisica. Invece di usare frasi correttamente formate e logicamente coerenti, i pazienti la cui terapia andava a buon fine si esprimevano spesso in modo più esitante, incerto e tentennante.
Potevano dire al terapeuta: “Non so bene come dirlo”. Oppure dicevano qualcosa, poi si fermavano e la ripetevano con altre parole: “Ho questo senso di pesantezza nel petto; no, non è esattamente pesantezza, è più una sorta di oppressione…”. Analizzando lo schema linguistico dei pazienti di successo, quelli cioè in grado di comprendere in profondità i propri problemi e trovare vie di uscita per fare passi avanti positivi, Gendlin dimostrò che tali individui erano in contatto con una sorta di non meglio definita sensazione interiore, un significato percepito fisicamente e che non poteva essere espresso in maniera soddisfacente a parole. Gendlin chiamò questa fonte interiore e non verbale di conoscenza ‘felt sense’.