Innumerevoli esempi di un tale mutamento vengono segnalati da donne che hanno dovuto assistere per un certo tempo i mariti malati. L’uomo forte, protettore della famiglia e padrone della casa, diventa un bambino piagnucoloso che chiede il suo succo d’arancia. Medici e infermieri osservano la stessa regressione nei pazienti ospedalizzati: vedono adulti diventare bambini, la cui cieca fiducia negli specialisti si alterna a una capricciosità infantile. In una situazione del genere il medico diventa il grande soccorritore, la fonte di ogni speranza. Temuto, rispettato, odiato e ammirato, in certi momenti sembra quasi un redentore divino. Il medico può guarire, alleviare il dolore, rendere sopportabile l’esperienza della morte: senza di lui il paziente è perduto.
C’è ancora un aspetto psicologico da prendere in considerazione. Secondo un’ottica puramente intellettuale, il medico sa bene che i suoi pazienti sono persone come lui ma, se è onesto, dovrà riconoscere che spesso non è possibile evitare di assumere nei loro confronti un atteggiamento negativo. Specialmente per il medico ospedaliero i pazienti diventano spesso una massa di bambini irragionevoli, povere creature infelici, senza stato sociale e senza dignità, un tipo di umanità totalmente diverso, e forse inferiore al suo: non prendono le medicine, fanno cose che sono per loro dannose, a volte obbediscono a volte no, proprio come bambini piccoli. Spesso questa situazione crea una polarità tra il paziente regredito, infantile e pauroso, da un lato, e, dall’altro, il medico superiore, orgoglioso, distante, anche se ancora abbastanza cortese.