La dignità del proprio sentire
E se fosse proprio questa la qualità che fa la differenza?
Da un paio di mesi ho reiniziato yoga.

Due lezioni a settimana. Lunedì e mercoledì. Due insegnanti diverse.

Quella del mercoledì tipa tranquilla. Preparata e sensata e pure carina. Di quelle che lo yoga è uno strumento. Di quelle che ciò che conta è altro. Sempre qualcosa d’altro.

Quella del lunedì una purista. Disciplina prima di tutto. Obiettivo finale fare e far fare le posizioni alla perfezione. Grande rispetto alla storia millenaria dello yoga manifestata in un preciso rispetto del protocollo.

Già da subito provavo più rispetto, come insegnante, della seconda, ma chi mi stava più “simpatica” era la prima.

La palestra è vicinissima a casa. Parquet per terra e pulizia meticolosa. Il costo sensato. Non troppa gente.

E poi, a pensarci bene, non è così male fare yoga con due “impostazioni” così diverse. Mi sembra di poter prendere il buono dell’una e il buono dell’altra. E tralasciare gli aspetti che mi piacciono meno. Non è che ci penso a sta cosa. Mi viene in automatico e mi risuona bene. E concludo con un “ma si dai, facciamo così”.

Poi stasera (che oggi è lunedì) sono arrivato con trenta secondi di ritardo (io sono sempre puntualissimo). Dovevano partire con l'”Om”.

Mi lancio dentro. Un po’ trafelato (e con un po’ di senso di colpa del tipo: “cazzo serve fare yoga se arrivo così agitato…?”). Non avevo ancora finito di stendere il tappetino che l’insegnante, dopo un bell’ inspiro profondo ha già chiuso gli occhi e parte con l’Om.

Ci rinuncio. Dovrei rincorrere pure per fare l’Om. Meglio non farlo a sto punto. Altrimenti qua diventa una rincorsa continua…

Ooops. Ma quell’occhiataccia nei miei confronti perché? Che avrò fatto di così male?

Poi la lezione inizia. Tutto un respirare e stirare. Vampate di caldo che sembrano immotivate. Qualche brivido di freddo. Qualche posizione davvero difficile anche solo da immaginare. Altre che filano lisce.

E arriviamo alla fine della lezione.

A quel punto sento dire. Con una stizza incredibile. “Ma quel foglio sull'”om”… l’avete letto a casa?”

Quello che m’ha sconvolto è che ci ho messo un attimo a collegare ‘sta domanda a me.

Mi stava rimproverando, in modo indiretto, per il ritardo di trenta secondi iniziale.

Quando sono uscito dalla palestra, mi sono scorse davanti tutte le altre affermazioni che aveva fatto con questo tono. Rivolte a me e ad altri. Ho sentito, ho avvertito, che mi stava per entrare dentro la sua rigida stizza. Ma un attimo prima, fortunatamente, sono sgusciato via… avevo deciso: yoga solo al mercoledì.

Non c’è da ricamarci sopra. È semplice: è che se il giorno prima hai passato la giornata a sentirti la muscolatura profonda, non puoi non continuare a sentirti dentro. Non importa se i muscoli o le ossa. È la direzione che conta.

Se senti fuori ascolti solo quello che ti arriva da fuori. Quello che senti con la mente. Quello che è logico. Quello che ha una storia. Quello che è ufficiale. Insomma: quello che se lo pensi ti fa sentire un bravo bambino. Che lo pensi e vedi il sorrisetto compiaciuto della zia bigotta.

Se senti dentro… eh, se senti dentro non c’è confronto. Ma non come modo di dire che è molto meglio. È proprio un altro mondo. Perché dentro sei già un bravo bambino. E lo senti. Perché dentro nessuno ti fa sorrisetti, perché verrebbe da ridere. Non c’è nulla di razionale o di storico a cui aggrapparsi. È il contrario. C’è un lasciarsi scivolare fino alla base. E quando arrivi al fondo sai che ci sei.

A quel punto l’insegnante del lunedì non la vuoi criticare. Sai perfettamente che non è che è mal fatta. Non ha problemi lei. O meglio tu sai che non sei assolutamente in grado di valutarla o giudicarla. Ma neppure ti interessa farlo. A quel punto puoi anche raccontarne la storia su una mail, convinto come sei che non la stai “ferendo”. Lei ha la sua storia, le sue modalità e tu le tue. E nessuno dei due ha “ragione”.

Solo che adesso dei condizionamenti te ne puoi dimenticare. Del fatto che sembra brutto dire “Quell’insegnate di yoga non fa per me”… Quante volte a scuola, per esempio, l’avresti voluto urlare di alcuni professori.

Ecco, con l’ascolto del corpo dall’interno è così. Puoi permetterti di farlo, ma a quel punto non è più il caso di urlare.

La decisione è presa. E in un certo senso, la dignità del mio sentire ritrovata.

Andrea Ambrogio