“Tante belle parole si possono dire e leggere sull’anatomia esperienziale. I feedback che si sentono durante i corsi, per esempio, sono entusiasmanti, dolci, calorosi ed insieme determinati, precisi, pieni di forza ed allo stesso tempo colmi di stupore, o indecisione. Dimostrano che, non solo c’è stato tanto movimento, ma che il movimento continua ed é inarrestabile.
E sono tutte parole vere che hanno l’unico difetto di non poter esprimere appieno cosa si sia provato. Solo le facce, le occhiaie, le posture, gli occhi pieni di stupore possono dare una vaga idea….
Ma facciamo un passo indietro. Vogliamo provare a capirne il segreto? Il tocco magico? L’essenza che lo rende disarmante?
Il momento è sempre lo stesso, per tutti. E lo senti che arriva quando devi trovare un partner per mettere in pratica l’ “esperienza” che ti è stata appena dimostrata. Non perché ci sia qualche sostanziale criticità nel trovare il partner, ma perché in quel momento il tuo corpo è gia nel fare, è gia nella tecnica, è già nell’esperienziare, e quindi i vecchi schemi, le vecchie abitudini, l’ego inizia a boicottarti perché sente che viene messo in discussione, se non addirittura in pericolo. Lì sale un po’ di insicurezza e/o paura. E lì aiuta avere coraggio e fiducia. Ma li puoi trovare solo in te stesso (anche perché magari non è che hai capito davvero tutto benissimo).
Insomma da un lato mille scuse, sotto forma di pensieri, cercano di sabotarti (“questo partner non mi sembra granché disponibile”, e “ma io a questo braccio ho un problema cronico” oppure dal lato opposto “uh! non vedo l’ora di riprovare esattamente quella sensazione dell’altra volta” e “io sono molto tranquillo di fare tutto per bene, non devo manco faticare troppo”), dall’altro un po’ ti agiti, un po’ sei insicuro, hai un po’ una paura inspiegabile, una voglia di performare che rischia di fregarti (lo sai!!) e insieme sai che tu ne hai già fatte di cose simili, ma dove ti hanno davvero portato? Sì un po’ di sollievo momentaneo… magari per qualche giorno. E poi?
Ecco… a questo punto sei sufficientemente impantanato da aver voglia di chiedere di rispiegare la tecnica, tanto per prendere tempo. Ti avvicini al partner, prendi in mano la sua tibia, senti che potrebbe andare tutto affanculo e lì ti arriva. Si chiama intenzione ed è il primo componente alchemico segreto.
Direi che vale la pena di spiegarla con molta calma e precisione questa cosa. È troppo importante no?
Bene! “Intenzione” significa: faccio attenzione alla parte del corpo che è stata nominata. Punto. Fine. Stop.
Non c’è volontà. Non c’è senso del dovere. Non c’è preparazione tecnica/teorica/fisica. Solo il mio entrare in contatto con la tibia.
Puoi fare anatomia esperienziale su un organo o su una linea di forza, su un osso specifico o sui fluidi del tuo corpo, ma il segreto che ti permette di “entrare” è l’intenzione. Wow…
Ora però, se l’intenzione permette di entrare, non dissipa l’incasinamento in cui ci siamo voluti e dovuti impantanare nella fase precedente e che potrebbe portarci fuori strada (quale strada? quale traguardo? Ora che ci penso questo non è stato proprio detto!!).
Ora serve qualcos’altro per proseguire. Per tenere duro. Per arrivare alla fine e scoprire il tesoro.
Potrebbe essere la forza di volontà, potrebbe essere la voglia di vincere, potrebbe essere il coraggio o la fiducia, potrebbe essere la determinazione. No! Vi sembrerà incredibile: è la resa.
Provo a spiegarmi. Tu stai lì. Con ‘sta cazzo di tibia in mano, mezzo impantanato e cerchi di tenere l’intenzione sulla tibia. E allora ti sembra di trovare uno spiraglio. Però il fango cerca di salire. Ce la farai? E intanto non senti un cazzo di niente. Non solo non senti quello che ti han detto che potresti sentire (anche solo metaforicamente, e tu lo sai). È quasi come quando, da piccolo, cercavano di insegnarti a nuotare. Tante spiegazioni. Tante dimostrazioni. La forza dell’acqua che naturalmente ti sostiene. Ti mettono in acqua. Ti sostengono, ma poi, non contiamoci palle, quando ti mollano e senti che vai giù c’è un solo pensiero: toglietemi di qua.
Esattamente come in quella situazione solo la resa ti riporta su. Lasci i muscoli, lasci le tensioni, ma soprattutto lasci i pensieri e… op! Sei su. Cioè nella tibia. Wow…
A quel punto pensavi che avresti “sentito” il respiro passare nelle ossa. Che il fluido per te che sei un visivo (mica è il primo corso “strano” che fai) avrebbe assunto un colore ben definito. Che la linea di forza t’avrebbe, come minimo, fatto sentire dei brividi. Che gli organi avrebbero resistito stoicamente, ma poi t’avrebbero accettato. Che i muscoli (con tutto lo sport che fai) avrebbero mostrato, come minimo, la loro elasticità. E sei lì che aspetti. Ma poi arriva. È l’ultima cosa che ti aspetti, ma come un fiume in piena ti travolge. E’ il piacere profondo.
Ed è tutto lì. Contemporaneamente sai che sei arrivato e che non te ne vuoi andare. Non sai perchè, percome, perdove, perchi. Smetti di pensare. Anzi puoi pensare, anche lucidamente, ma poi no, no, no… torni nella tibia. Che piacevolezza… Wow…
La butto lì. Che quello che ci si porta a casa di più significativo sia proprio quello? Immaginate di “applicarlo” in tutte le cose della vita. Anche adesso. Proprio mentre leggete. Mentre parlate con un collega. Quando organizzate le vacanze. Quando vi preparate una pasta al sugo. Mentre fate l’amore. Quando prendete in braccio un piccolo di 4 mesi. Quando siete in coda a pagare, in posta…
Credo che questo sia il segreto, o i tre segreti, dietro ad ogni pratica di anatomia esperienziale. E mi chiedo se non sia anche quello che c’è dietro a tutto.”