Ci sono corsi di roba del genere ovunque e in continuazione, e come insegnanti di scrittura ci sentiamo fare costantemente domande sull’“arco narrativo” e il “viaggio”, oppure: «Come faccio a costruire una struttura che funzioni?». Oppure: «Com’è fatto un buon dialogo?». Sono domande noiose, e anche le risposte lo sono. L’insegnante e lo studente interpretano i loro ruoli alla perfezione, mantenendo ogni cosa graziosamente prosaica, parlando solo di quelle cose che possono essere insegnate, o magari apprese. Mortificata in questo modo, l’arte appare gestibile. Ma manca l’elemento più importante.
Se pensate ai veri romanzi – per esempio al Frankensteindi Mary Shelley, o a Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson, o al Dorian Gray di Oscar Wilde, o magari al meraviglioso racconto di John Cheever Il nuotatore, o alla Metamorfosi di Franz Kafka, o a un qualunque libro di Raymond Carver o di Sylvia Plath – dovete cominciare pensando alla sfrenata implausibilità, audacia e brillantezza dell’idea o della metafora dell’artista, invece di pensare alla disposizione dei capoversi. E una volta che cominciate a pensare a questo vi trovate inevitabilmente a pensare all’immaginazione e a come funziona, da dove può nascere e dove può portarvi. A questo punto, vi ritroverete in un utile pasticcio.
La maggior parte delle persone ha buone idee in continuazione, ma semplicemente preferisce non accorgersene. Eppure gli autori che ho appena citato hanno trovato soluzioni a conflitti che li infastidivano o addirittura li ossessionavano, conflitti che all’epoca dovevano sembrare delle falle o delle impossibilità e che alla fine hanno comportato un balzo creativo verso una nuova ottica letteraria. La loro immaginazione era trasformativa, era un andare oltre che esigeva di costruire una cosa nuova sulla base di cose vecchie, messe insieme in combinazioni sconvolgenti e dirompenti che ancora oggi sembrano innovative.