I primi ad accorgersene e a cercare altre strade per conoscere e indagare il nostro corpo sono stati i danzatori. In particolare quelli della Contact Dance che hanno iniziato a lavorare in questa direzione quasi contemporaneamente ai body worker e ai ricercatori somatici, come l’americana Bonnie Bainbridge Cohen che, a partire dagli anni Cinquanta, ha cominciato a elaborare una serie di ricerche che avevano come scopo proprio quello di riportare l’anatomia nella vita. Ricerche che oggi si chiamano Embodied Anatomy.
«In realtà l’anatomia è una fonte inesauribile di ispirazione », spiega Remo Rostagno, coreografo e practitioner di Body Mind Centering. «Il danzatore è la forma che si muove nello spazio, è la bellezza di questa forma», sostiene. «E i diversi sistemi anatomici danno la qualità a questa forma. Voglio dire che conoscere gli organi attraverso il contatto, il movimento, la visualizzazione, per esempio, significa farsi plasmare da un impulso che ha una qualità accogliente, morbida, rotonda. Sono dinamismi legati alla terra, al sangue. Gli stessi che possiamo trovare nelle danze tribali, che sono calde e potenti. Un impulso completamente diverso arriva quando ti immergi nello studio esperienziale delle ossa. Da lì viene un movimento chiaro, lineare, molto diverso da quello suggerito dagli organi e che può essere anche molto sfumato, paffuto, come una nuvola che non sai dove inizia e non sai dove finisce. Le ossa esprimono una forza che deriva dalla struttura. Una qualità apollinea, chiara, precisa. Gli organi, invece, hanno una qualità più dionisiaca: sono misteriosi, oscuri, profondi».