Se avete male al ginocchio, una tosse cronica, una depressione latente, una palese incapacità a gestire qualsivoglia relazione, perdete i capelli anzitempo, avete una costante paura della morte… cioe’ avete dei problemi che vi rendono infelici (perchè sempre questo è il modo di vedere la cosa all’inizio) voi andate dal medico, dal fisioterapista, dallo psicoterapeuta, dall’omeopata, dal prete, dal massaggiatore, dal guru indiano e tramite loro magari arrivate alle medicine, ai fitoterapici, ai fiori di Bach etc. Questo è quello che viene definito approccio terapeutico. Cioè cerchiamo di stare meglio (la felicità) attraverso altre persone e, magari, medicine.
Se anche tutte queste cose funzionassero, significherebbe comunque che non abbiamo trovato la felicità, ma solo un aiuto esterno che ci permette di raggiungerla. Questo, a casa mia, significa che deleghiamo a qualcuno/qualcosa fuori da noi la possibilità della felicità. E questo per me è un percorso terapeutico.
Nell’anatomia esperienziale le persone, anche quelle che credono di essere lì per poter migliorare la posizione del cane rovesciato che saluta il sole, stanno in realtà imparando non solo a trovarsi le risorse per la felicità da sole. No! Scoprono di averle sempre avute e sempre lì a disposizione. Nell’anatomia esperienziale non si aggiunge niente (nè guru, nè medicine), ma si toglie. E si arriva al piacere avendo potato l’inutile e trovato risorse dentro di noi. Si scopre, essendo naturali, che nessuno ci deve aiutare e che non servono sostanze mediche. Questo, sempre a casa mia, si chiama percorso spirituale.