Il diritto al silenzio
Più si sta quieti,
più si sente.
Le possibilità di silenzio stanno diventando un diritto sempre più raro.
Nelle frequenti dispute tra praticanti della movida e cittadini insonni impressiona la totale impraticabilità di una soluzione di compromesso.

Ovvero: stiamo al bar fino alle quattro bevendo a garganella, però senza sbraitare (esiste anche un’ubriachezza non molesta). Se ne deduce che un ingrediente essenziale della movida è il fracasso (una parte di Martini e una di Decibel, due gocce di angostura). Questo rimanda al più vasto problema -acuto in estate- del diritto al silenzio, uno dei più negati del nostro evo.

Talmente negato che se al ristorante chiedete al vicino di tavola di urlare di meno, o entrando in un negozio scongiurate la commessa di abbassare il volume della musichetta, la prima reazione è di stupore: il rumore non è inteso come un problema, dunque il silenzio non è inteso come un diritto. Gli urlatori si sentono rimproverati per una colpa che non avvertono. Spesso si offendono.

L’unica speranza, vivendo in una società di mercato, è che nasca una imprenditoria del silenzio: un sovrapprezzo per mangiare e bere e parlare in luoghi silenziosi, come nei club inglesi. Quanto al silenzio gratuito, o avete vinto il concorso per guardiano del faro o ve lo potete scordare. È una società classista, questa.

M. Serra