Il mito del peso ideale
Ho calcolato il mio peso ideale in base all'altezza
e adesso devo solo trovare il modo
di crescere di dieci centimetri.
Paola Fegro
Credere di sapere come ‘dovrebbe’ essere il corpo delle persone richiede inconsapevolezza.

Estratto dell’intervista a Jader Tolja, realizzata dalla giornalista Virginia Ricci per il settimanale ioDonna, supplemento del Corriere della Sera.

Quali sono le conseguenze dell’ideale del ventre perfetto?

Per avere un ventre piatto occorre bloccare il diaframma in posizione di inspirazione ed enfatizzare il respiro toracico, più legato allo sforzo e alla volontà, a discapito di quello addominale, legato invece alla calma, alla serenità, al piacere e al qui e ora. Questo limita la nostra vita emotiva e crea i presupposti per una condizione di ansia cronica, dato che l’ansia, dal punto di vista fisico, è semplicemente una interruzione del respiro. Gli indumenti che stringono in vita o a livello della pelvi impediscono al respiro di raggiungere il pavimento pelvico e procurano sofferenza agli organi che vi sono contenuti.

Parlando con un’amica e guardando la foto di un’altra conoscente, quando lei mi ha detto «Ha solo qualche chilo in più», la mia risposta spontanea è stata «In più rispetto a cosa?».

Sono sufficienti le poche righe del suo aneddoto per illustrare la visione mentale di sé e degli altri che ha dominato la scena culturale negli ultimi decenni. Una visione caratterizzata dall’incapacità di vedere la persona nella sua complessità e originalità, ma solo nella misura in cui aderisce a, o si discosta da, un unico ideale stereotipato. Credere in tale ideale – come rivela la domanda che lei pone all’amica – implica che inconsciamente ci atteniamo a un singolo, e arbitrario, criterio di valutazione ritenuto assoluto. Ma mettiamo pure che il peso possa inconsapevolmente essere ritenuto tale, comunque parlare di ‘peso ideale’ non avrebbe  senso.

Perché?

Come si può pensare che il peso più funzionale per persone con situazioni lavorative, familiari e affettive differenti possa essere lo stesso? Il nostro corpo è l’organismo più complesso dell’universo conosciuto e si autoregola in modo estremamente sofisticato. Il peso di ogni individuo è il risultato della combinazione tra la sua storia e una serie di esigenze diverse. Credere di sapere meglio del nostro organismo quanto si debba pesare è ingenuo. Se proprio esiste un peso ideale è quello che abbiamo in questo momento.

Da un lato sappiamo che certi tipi di uomini “valutano” le donne in base all’aspetto fisico, ma per altri versi sembra che la visione del proprio corpo da parte delle donne sia ancora più categorica di quella maschile.

Chi ha meno potere tende ad adottare il punto di vista di chi invece il potere ce l’ha. La donna tende a svalutare ciò che sente per guardarsi con uno sguardo maschile dove è meno emancipata. Ma sarebbe più corretto dire ‘con quello che crede essere lo sguardo maschile’, perché, come giustamente diceva lei, nelle sue valutazioni è ancora più categorica. Statisticamente, in Occidente le donne si percepiscono in sovrappeso, ma è una percezione che non corrisponde a quella che gli uomini hanno di loro, che è molto più varia.

A suo avviso quale potrebbe essere uno scenario futuro di elaborazione-trasformazione del rapporto col corpo?

Storicamente la mente ha sempre approfittato della mancanza di percezione del corpo e della profonda ignoranza dell’anatomia e fisiologia per affermare le sue visioni. Ora le cose stanno cambiando e abbiamo motivo di pensare che sia in atto una sorta di rivoluzione copernicana: al centro non ci sarà più la mente, col corpo che soffre per adattarsi alle sue astrazioni, ma ci sarà proprio questo, cioè quello che veramente siamo. Il successo epocale del film Barbie testimonia proprio tale processo. Per citare Alexander Lowen: “La gente ha perso il suo corpo e lo rivuole indietro”.

Domanda ovvia: quanto l’avvento dei social media ha modificato-peggiorato il rapporto fra le donne e il proprio corpo?

In ogni persona c’è il corpo sentito e il corpo guardato. Se prevale l’uno, l’altro perde di importanza. In una serata di meditazione o di yoga ha più spazio il corpo sentito, in una passata sui social si avvantaggia il corpo guardato. Ma penso anche che in questo caso, causa ed effetto debbano scambiarsi di posto. Cioè non credo che il problema origini dai social, quanto invece che chi ha meno conoscenza e percezione del proprio corpo venga più attratto dai social, per cui si ritrova a monopolizzare il proprio tempo e la propria attenzione navigando in rete invece che nel proprio corpo. Poi è ovvio che si crei un circolo vizioso: meno sento il corpo più rivolgo fuori l’attenzione, più rivolgo fuori l’attenzione meno sento il corpo.

Come si esce da questo circolo vizioso?

Quando partiamo dal mentale e dal visivo, facciamo confronti e giudichiamo: se una parte del nostro corpo non ci piace, smettiamo di respirarci, e quando non ci respiriamo questa diventa lassa o si contrae. Sia la lassità sia la tensione impediscono il sentire. Se invece invertiamo la sequenza e partiamo dal sentire, si crea un circolo virtuoso. È il motivo del crescente successo di pratiche basate sulla propriocezione, cioè sull’ascolto del corpo dall’interno. Chi è impegnato a sentire non giudica, ma si gode la progressiva riconquista del proprio corpo a ogni onda di respiro. È questo che ci trasforma: se sbirciamo in una sala dove si fa meditazione o una qualsiasi pratica in cui si focalizza l’attenzione verso l’interno, ci accorgiamo che le persone sono bellissime. Tutte.

Dal supplemento ioDonna, del Corriere della Sera

Versione cartacea (più breve rispetto a questa):
https://bodythinking.com/wp-content/uploads/2023/03/iO-Donna.pdf

Versione integrale sul sito della rivista (più completa rispetto a questa):
https://www.iodonna.it/attualita/costume-e-societa/2023/10/10/il-corpo-delle-donne-in-nome-della-taglia/