Contratto fra adulti
È difficile rimanere imperatori
in presenza di un medico:
difficile anche conservare
la propria essenza umana.
Marguerite Yourcenar
Ciò che fa onore alla professione medica è il coraggio di esserci, anche senza bacchette (o pillole) magiche.

Come infatti mostrano ricerche sull’efficacia dei trattamenti ospedalieri, ad esempio circa la metà delle persone dimesse afferma di non aver tratto vantaggio dalle cure ricevute in ospedale, e il dieci per cento accusa addirittura un peggioramento. È la natura stessa a limitarci: non possiamo crescere al posto di un altro, affrontare la paura di un altro, soffrire al suo posto né fare scelte di vita che sono esclusivamente di sua competenza. È ovvio che un paziente  smettendo di bere o di fumare starebbe meglio, così come è ovvio che se fosse così semplice lo avrebbe già fatto. Atteggiamenti di questo genere non rivelano semplicemente scarsa volontà, ma spesso anche una storia e un equilibrio individuale molto complessi legati a una forma di aggressività verso se stessi.

Il medico che rimprovera il malato perché «non smette» non solo non disinnesca questa autoaggressione, ma anzi, offrendogli un giudizio sotto forma di consiglio, tende ad alimentare una forma di regressione che difficilmente favorirà nel paziente l’assunzione di responsabilità. La capacità di riconoscere e onorare la propria impotenza dà invece al medico una grande libertà di azione. Innanzitutto quella di scegliere se intervenire o no. In assenza della necessità di negare (soprattutto a se stesso) la propria impotenza, egli può rinunciare a intervenire dove non servirebbe e può aiutare il malato che non è pronto per essere curato a chiarirsi rispetto i suoi bisogni, le sue motivazioni e i suoi tempi. Diventa inutile trattarlo dall’alto in basso o colpevolizzarlo per ciò che non può, non vuole o non riesce a fare per se stesso. D’altra parte, come afferma Petr Skrabanek, «l’autonomia implica il diritto di fare errori, di avere rimorsi, di scegliere senza saggezza, di comportarsi da sciocchi» (The Death of Humane Medicine and the Rise of Coercive Healthism).

Ogni problema di salute è in realtà qualcosa di aperto, in evoluzione, alla cui soluzione due adulti possono contribuire con le loro conoscenze, con la loro esperienza, intelligenza e capacità di osservazione, in uno spirito di ricerca comune. Oltre agli ovvi vantaggi della collaborazione, la possibilità di riconoscersi reciprocamente esperienza, competenza, intelligenza e buon senso apre la via a più strade. A conferma dell’utilità della condivisione di responsabilità tra medico e cliente: «In uno studio condotto negli anni Sessanta,  persone che stavano per essere sottoposte a un’operazione furono divise in due gruppi. In un caso l’anestesista si limitava alla visita di routine prima dell’intervento, nell’altro si attardava a parlare con le persone dando chiarimenti sull’intervento e, soprattutto, su quanto sarebbe accaduto dopo, sul perché del dolore al risveglio e sul suo decorso. Risultato: dopo l’intervento le persone informate ebbero bisogno del cinquanta per cento in meno di farmaci analgesici e i chirurghi, all’oscuro di tutto, le dimisero dall’ospedale in media tre giorni prima».

dal libro Pensare col corpo