Un fulmine a ciel sereno. Io non riuscivo a pensare neppure se la tipa con cui stavo potesse essere una “storia seria” e lui filiava?!? Lui, oltre ad essere mio amico, è una di quelle rarissime persone, in cui pur essendoci una gran bella dose di intelligenza c’è anche un cuore grosso come una casa. Cioé uno di cui proprio ti fidi, gli vuoi bene… ti ci paragoni!
Insomma la volta dopo che lo vidi non mi trattenni e gli chiesi:
“Ma come hai fatto a decidere? Cosa hai pensato?”
Io proprio brancolavo nel buio.
E lui mi rispose:
“Nulla. Non è una cosa che puoi decidere con la testa”.
Al tempo l’avevo archiviata nella sezione “cose che, forse, capirò da grande”. E morta lì.
Poi stanotte, verso le quattro e mezza, l’ho capita. O meglio ho capito cosa intendeva lui. E ho anche capito che per me non è proprio la stessa cosa, ma che è vero: il terreno di gioco non è quello della testa.
Che poi non è che uno debba per forza sapere perché si fanno figli all’alba del terzo millennio, però se sono le quattro e mezza del mattino e sei infreddolito, in pigiama, di fianco al letto di una bimba di un anno e l’unica attività a cui stai dedicando ogni singolo grammo di materia grigia è quella di cercare di capire se il respiro della sopraddetta (a li mortacci a lei) sia quello di un abbozzo di sonno o quello di un sonno medio o, finalmente, quello di un sonno profondo e duraturo allora sì, puoi anche pensare – anzi direi che è una inevitabile conseguenza – “perché ca#@# si filia all’alba del terzo millennio?”. No?
Ma in verità non è andata cosi.
E’ andata che sono parecchie notti che non si dorme a casa mia. O il grande o la piccola la ingranano a tutte le ore. Per una serie di ragioni tocca a me scendere a cercare di sedarli.
Insomma c’è poco da fare. Quando sono lì cerco di pensare alla soluzione che potrebbe/dovrebbe essere la più intelligente/efficiente/delicata ma al contempo risolutiva, tutto insieme. Perché prima, durante il giorno, m’ero fatto tutto un programma d’azione. Dettagliato e avvincente, con soluzioni predisposte ad ogni possibile variabile e reazione dei due piccoli mostri (ops), ma alle tre di notte (per dire) non vale più niente. E’ come in guerra. In una terra di nessuno. Devo andare a tentoni. Cerco di trovare delle ispirazioni. Provo in un modo. Valuto le reazioni. Sembra funzionare. Me ne rallegro e lo archivio tra i metodi più funzionali. Mi sento non solo un genio, ma anche un padre evidentemente amorevole e riconosciuto come tale: se sono riuscito a sedare quel delizioso carro armato di un anno in due minuti netti significa che lei ormai mi riconosce. Intendo ad un livello profondo. Basta la mia mano. La mia presenza e il mio calore. Mi alzo. Sogno di essere un ninja silenzioso per tornare a letto. No. Non lo sogno. Sono silenzioso come un ninja. Nessunissimo rumore. E finalmente mi rimetto a letto. Avrei voglia di darmi una pacca sulla spalla da solo. Poco importa che sia cosciente che ci metterò trenta minuti minimo a quel punto a riaddormentarmi. Stavolta ho capito il segreto. Il giusto miscuglio di movimenti, calore, fermezza.
Io ve lo giuro. Se dopo tre minuti netti uno si ritrova di nuovo di fianco al lettino di questa deliziosa creatura, che senza dubbio avrà un’eccellente carriera da soprano, si hanno solo due possibilità.
O la si appende al balcone (con ghigno malefico) o … oppure ci si appende noi al balcone.
Si sparisce. Si smette di pensare. Ma non con un atto di volontà, ma semplicemente come unica e possibile conseguenza. Mi verrebbe da dire che può solo succedere da sola sta cosa. Tutto quello che passa per la mente (es: “perché non provo con la canzoncina quella che usa la nonna e che funziona sempre, mentre le tengo una mano appoggiata, con delicatezza, all’addome e intanto faccio attenzione a stare in una posizione comoda mentre ascolto i rumori della notte per rilassarmi?” oppure “ca@#zoooooo!! ma non avevo capito come si faceva???”) non lo si considera più. E’ come se lo pensasse un altro. Un tipo noioso e ripetitivo. E lo si sente parlocchiare, ma non lo si ascolta più. Tanto non serve a niente e … arrendersi è l’unica possibilità.
A quel punto, all’improvviso, ho sentito il diaframma che respirava.
Ma non ho cercato di sentirlo. Semplicemente lui era li che respirava, da sempre.
Si! Ma non in su e giù come m’avevano spiegato a yoga (o al seminario motivazionale aziendale del mese scorso – giuro). No. Era come un cerchio cicciotto che si allargava e poi si restringeva. Verso l’avanti, verso il dietro. A destra e a sinistra. Un disco che si espandeva in tutte le direzioni. E mentre si espandeva mi allargava la pancia e i polmoni. E poi mi svuotava. Faceva tutto sa solo. E ad ogni respiro si creava un po’ più di spazio. E in quello spazio l’idea che non stavo dormendo e che il giorno dopo avrei trovato eterno (per esempio) diventava via via più piccola. Fino ad essere un puntino infinitesimale. Poi è sparita del tutto. A quel punto ero solo felice. Il respiro della piccola era la cosa più riempiente del mondo. Il freddo che sentivo assolutamente tollerabile. No. Non ero felice. Semplicemente non volevo nient’altro.
E’ a quel punto che mi sono ricordato le parole del mio amico.
Ma funzionano al contrario di come m’aveva detto lui.
Non è che non si pensa e solo a quel punto si fanno figli.
Si fanno figli, soprattutto, per imparare a smettere di pensare.
Quando mia moglie, stamattina a colazione, tremolante, mi ha chiesto come stessi ho avvertito un brivido di follia pura. Stavo per dirle che quasi quasi avrei sperato che succedesse ancora la stessa cosa anche la notte dopo!
Poi un lampo di lucidità mi ha fatto rispondere: vado al prossimo week end di anatomia esperienziale.
Che si provano le stesse cose eh, ma di giorno, una volta tanto!