La differerenza tra felicità ed euforia
Mentre la prima è spontanea la seconda richiede sforzo.
«Salve, gente, come state?» chiese la cameriera ad Alice e a Eric quando si furono seduti per la cena nella veranda dell'hotel quella sera. «Io sono Jackie, e vi porterò tutto quello che vi serve stasera».
«Grazie», rispose Alice, incerta se dovesse a quel punto presentarsi a sua volta.
«Indovinate», disse la cameriera. «Oggi il menu comprende calamari, spigole e qualche grossa aragosta».

La faccia di Jackie era congelata in un sorriso che rendeva essenziale dichiarare che ogni piatto era un trionfo culinario, così da impedire il crollo di quel miracolo di muscolatura facciale e rivelare quello che poteva essere un orribile tormento.

Anche se la felicità è sempre, ovviamente, auspicabile, l’euforia non poteva essere proprio paragonata alla felicità. Mentre la persona felice sorride poiché ha una possibilità di scelta a riguardo (può essere per un bel tramonto o perché l’innamorato ha appena telefonato), gli euforici sono felici solo perché non possono proprio essere infelici, perché sono totalmente incapaci di confrontare il buono e il cattivo.

C’era qualcosa del genere nella ferrea determinazione con cui Jackie manteneva l’energia aerobica del proprio sorriso, e nelle reiterate dichiarazioni di Eric a proposito della cena – «E proprio un’aragosta fantastica!… Non è la vacanza più bella del mondo?» – anche se l’espressione di Alice avrebbe potuto suggerirgli qualcos’altro, se solo fosse stato tentato di osservarla.

A. De Botton
Dal libro Il piacere di soffrire