Alla coscienza è presente solo l’esigenza egosintonica di ricevere valore attraverso il successo. Che questo valore sia il surrogato dell’amore – ciò che si desidera davvero – che ci si sacrifichi per un premio di consolazione e che in questa lotta la vita vada perduta, sono realtà troppo dolorose da accettare.
Eppure c’è questo tormentoso senso che preme verso la consapevolezza, sempre maggiore con l’età, che nella vita c’è molto di più. Nei momenti in cui le difese vengono abbandonate, il narcisista si accorge che gli altri si vedono, si ascoltano e si percepiscono a vicenda, che c’è vera gioia e amore nell’esperire alcune persone, che c’è una qualità reale nella vita umana. In questa comprensione, e in questa invidia, ci sono i semi della trasformazione narcisistica.
La salvezza del narcisista non sta nei suoi successi, nella sua straordinarietà o unicità. Il “dramma del bambino dotato” (Miller, 1981) sta nella scoperta della propria umana ordinarietà. In essa sta la sua capacità di provare sentimenti umani reali non deviati dall’interiorizzazione dell’accettazione o del rifiuto dei suoi sentimenti da parte dei genitori. Una volta compresa la propria ordinarietà, il bambino dotato può esprimere il proprio dono semplicemente in quanto tale: un dono. Egli non è il suo dono, ma è la sua umanità.