Negli anni sessanta “A che gioco giochiamo” (Games people play), diventò il manuale di auto aiuto per eccellenza e non è difficile capire perché: Berne scoperchia i segreti delle liti familiari, dei matrimoni falliti e di tutto il resto. E sostiene che questi non sono i nostri unici problemi. Sono soltanto variazioni sul tema di un piccolo numero di ‘giochetti’ prevedibili che tutti involontariamente giochiamo.
Secondo il metodo di Berne, l’analisi transazionale, ricopriamo sempre uno di questi tre ruoli: genitore, bambino o adulto. Ovviamente, il tipo di interazione ideale tra persone mature sarebbe quella tra adulto e adulto. Ma non è quasi mai così. Di solito, nei confronti dei suoi dipendenti un capufficio si comporta come un genitore e loro reagiscono come bambini, verificando continuamente quanto possono tirare la corda e facendo i capricci. Oppure, un coniuge chiede implicitamente che l’altro gli faccia da padre o da madre, per poi infuriarsi quando questo diventa evidente.
I giochi di Berne hanno nomi come “Guarda che mi hai fatto fare” e “Non è la volontà che mi manca” e il loro scopo, spiega, non sta nel loro contenuto esplicito, ma in una serie di vantaggi impliciti. Nel gioco “Perché tu non…Sì ma…”, A deve risolvere un problema, ma trova un motivo per respingere tutti i suggerimenti di B. Quando finalmente B rinuncia a dargli consigli, A canta vittoria, anche se il problema non è stato risolto.
Nel gioco “Ti ho beccato, figlio di puttana”, A si attacca a una qualche piccola ingiustizia e non cede fino a quando B non confessa, e tutto questo perché A vuole affermare il suo predominio genitoriale. “Fin da quando era bambino”, scrive Berne a proposito di un paziente simile ossessionato da un piccolo errore nella fattura di un idraulico, “era sempre andato in cerca di ingiustizie simili, le aveva scoperte con piacere e sfruttate con gusto”. Vi ricorda qualcuno? Scommetto di sì.
Da questo tipo di analisi emergono due verità sorprendenti. La prima è che certi litigi e certi atteggiamenti passivi aggressivi, anche se sembrano veri scontri, in realtà sono frutto di un’inconscia complicità: entrambi i partecipanti amano litigare perché questo permette loro di rafforzare l’immagine di vittima che hanno di se stessi.
La seconda è che questo tipo di giochi non è necessariamente negativo. Vivere sempre nell’intimità pura e non filtrata del rapporto tra adulti, sembra voler dire, sarebbe insopportabile. “L’eterno problema degli esseri umani è come organizzare le proprie ore di veglia”, scrive Berne, e i giochi sono un modo tollerabile di passare il tempo.