Il pensiero abita nel silenzio
Finisco sempre dove devo.
Chavela Vargas
Quando prevale la brevità a effetto, la conseguenza sono pensieri già pensati.
Va nella mia personale antologia delle risposte più belle di sempre, questa di Chavela Vargas a Pedro Almodovar che le chiede: "Non dimentichi mai le canzoni? Una strofa, un giro, un verso?”. “A volte sì. Ma finisco sempre dove devo". Lo dice dopo averci pensato un momento, prende proprio un contrattempo di silenzio, si vede che si ripete mentalmente la domanda, se lo sta chiedendo davvero - me le dimentico? - E poi bum: quattro parole che sono il manifesto di una vita intera.

Un po’ come quando vedi un film con Gian Maria Volontè che, fra il sostantivo e l’aggettivo, si ferma, prende la pausa che serve a scegliere quello giusto, lo cerca. E di certo invece l’aggettivo era scritto nel copione, e lui il copione lo sapeva memoria. Però era un attore gigantesco e lo conosceva, il segreto più grande. Tra la finzione e la verità c’è questo, di diverso: il tempo del pensiero.

Il battito di ciglia – la pausa, in musica: un ottavo di battuta – che serve a riportare a te quello che si aspettano che tu dica, farlo transitare nel corpo, porgerlo come se ti fosse venuto in mente in quell’istante. 

Quindi in generale, pensavo: è questo il furto maggiore della velocità di reazione a cui il tempo presente – il tempo del talk show, di Twitter – ci condanna. La brevità a effetto. Avere una battuta pronta subito, 16 secondi al massimo. Nessuna esitazione, niente pause. Rispondere a tono possibilmente con un gioco di parole. Applausi, oppure fischi, è lo stesso. È il ritmo dello show. Ma è nel silenzio che abita il pensiero, invece: senza silenzio ogni parola è solo repertorio. Pensieri già pensati – rubati, copiati o archiviati – pronti per essere usati. Niente che accada davvero mentre accade: niente di interessante. Niente di nuovo.

Concita De Gregorio
Da D Donna