Ver-gogna
Ovvero temere la gogna.

Una volta che la spudoratezza è diventata una virtù, non abbiamo più vergogna.

E siccome “vergogna” significa: “temo la gogna, la mia pubblica esposizione”, non ci si vergogna più della colpa, ma della sua pubblicizzazione, che il nostro pudore, ormai corrotto, avverte più disdicevole della colpa.

Di intimo c’è rimasto solo il dolore, la malattia, la povertà, che ciascuno cerca di nascondere per non essere isolato dagli altri. E così abbiamo reso inespressive tutte quelle figure dell’esistenza che avrebbero bisogno del massimo di comunicazione, per trovare quel sollievo che deriva dal non essere inabissati nella nostra solitudine, resa inespressiva per impossibilità di comunicarla. Infatti non si pubblicizza il dolore, la malattia, la povertà, perché gli altri non ne vogliono sapere e noi, che abbiamo dimenticato noi stessi quando ci dedicavamo alla nostra sfrenata esposizione, ci troviamo senza risorse per reggere da soli il buio della nostra notte.

U. Galimberti
D Repubblica