Siamo tutti diversamente abili
Ognuno è un genio.
Ma se giudichi un pesce da come scala gli alberi…
Albert Einstein
Quanta diversità riesce a tollerare la mente prima di andare in crisi?

Ci mettiamo a giudicare ed etichettare come giusto o sbagliato il processo in corso, come conseguenza della nostra capacità di capirlo o meno. Come sosteneva Jung, ‘la gente giudica perché pensare è più difficile’, e questo giudizio dipende soprattutto dalla prospettiva che si mette in atto. Ovvero se la nostra percezione si focalizza su ciò che non si può fare o se, al contrario, si è in grado di percepire quali orizzonti inaspettati si aprono proprio per il fatto di non poter fare ciò che si fa di solito, nel modo in cui lo si fa di solito.

Lo abbiamo sperimentato tutti durante la recente pandemia. Ci sono state persone che si sono focalizzate su quello che non potevano più fare – e quindi si sono impantanate in una dinamica di lamento e recriminazione – e altre che, nella medesima situazione, si sono invece chieste quali erano le cose che – proprio in virtù di quelle stesse particolari condizioni mai verificatesi prima – avrebbero potuto fare e che in condizioni normali non sarebbe stato possibile. In questo modo hanno scoperto nuovi modi di essere, stili di vita diversi, percezioni e attività che altrimenti non avrebbero mai potuto esplorare.

Il fatto che ogni volta che viene limitata una funzione, allo stesso tempo si creino le condizioni perché se ne possa avvantaggiare un’altra è un meccanismo molto usato ad esempio nello sport. Se si vuole che un nuotatore sviluppi maggiormente la forza delle braccia, gli si impedisce il movimento delle gambe. Se invece si vuole sviluppare di più quella delle gambe, si impedisce il movimento delle braccia. Perché meglio funziona una parte, meno opportunità di svilupparsi hanno tutte le altre.

Per esempio più la vista è perfetta, più si presta a monopolizzare la nostra percezione e diventare penalizzante per gli altri sensi. Il motivo per cui ci sono molte persone che pur avendo più di 3 diottrie di deficit, preferiscono non usare gli occhiali – se non per guidare -, è proprio per lasciare più spazio ad altre forme di percezione. Come ad esempio la propriocezione, cioè la percezione del corpo dall’interno, un senso più vicino al percepire la sostanza delle cose rispetto alla vista e che è molto più chiara e intensa ad occhi chiusi.

Ciò che è particolarmente interessante è che l’attitudine più funzionale con cui porsi di fronte a una limitazione di qualsiasi genere, cioè lo spostare l’attenzione dalle funzioni perse a quelle che da tale perdita hanno tratto vantaggio, in fondo è la stessa, indipendentemente dal fatto che si pensi che tale limitazione venga operata dal caso, – come in una visione meccanicistica della realtà -, da una scelta consapevole – come nell’esempio delle strategie citate in campo sportivo -, oppure dal destino – come nelle visioni dell’esistenza che contemplano una sorta di organicità della vita che va oltre la casualità -.

La convinzione che dietro l’esistenza ci sia una certa organicità gestita da una qualche intelligenza profonda, è comune anche tra figure professionali non certo assimilabili al movimento new age, come ad esempio Albert Einstein, che nella sua risposta al fisico tedesco Max Born affermava “Sono convinto che Dio non giochi a dadi con l’universo”, o lo psicoanalista e saggista James Hillman, che nel suo Il codice dell’anima, prende in esame una serie di biografie poco poco plausibili in un’ottica classica di causa effetto.

Tra le vite delle persone descritte per argomentare le sue tesi, c’è ad esempio quella di Helen Keller, una figura molto conosciuta nella cultura anglosassone. Cieca e sorda dall’età di 19 mesi per un’infezione non meglio identificata, ha avuto una vita professionale molto prolifica sia come scrittrice che come attivista sociale e politica, che in America ha portato a cambiamenti significativi sia delle condizioni e diritti delle persone con disabilità, sia nel modo in cui queste venivano percepite.

La vita sembra servirsi di ogni sorta di impedimento per riuscire a dar forma al particolare modo di essere che caratterizza ogni individuo e per dare originalità e senso alla sua esistenza. Siamo diversi soprattutto per le diverse capacità che, proprio in virtù delle nostre vicissitudini, abbiamo sviluppato. Prive di tali impedimenti le nostre esistenze finirebbero per essere repliche tutte uguali. Che ce ne rendiamo conto o meno, siamo quel che siamo proprio grazie al fatto di essere in qualche misura tutti diversamente abili.

Jader Tolja