Il mito dell'atleta perfetto
Nel mondo dello sport è molto popolare il mito della 'macchina perfetta'.
La metafora che descrive il corpo umano come una “macchina” è tanto radicata nell’immaginario collettivo da rappresentare un dogma centrale, assolutamente indiscutibile, anche per l’uomo comune che ne immagina il funzionamento. Il dogma si tramuta addirittura in un mito quando ci trasferiamo nel mondo della prestazione sportiva.

Qui la macchina diventa “perfetta” o quantomeno perfettibile. Già, perché appare chiaro che questo congegno è sottoposto a rotture e malfunzionamenti molto più complessi e difficili da gestire di quelli di una macchina progettata da un ingegnere. Non si riesce, tuttavia, ad uscire dal paradigma e anzi, le spiegazioni ed i rimedi che vengono pensati per risolvere i problemi della “macchina”, rimandano a ragionamenti di tipo circolare che conducono a rafforzare il paradigma, talvolta in modo disperatamente ingenuo.

Per rendersi conto di ciò basta dare un occhiata a libri e siti divulgativi nella rete. Un piccolo florilegio dal web:

“Il mio corpo è una fuoriserie formata da un complesso apparato di meccanismi che lavorano per darmi velocità. Come una macchina, il mio corpo lancia dei segnali. Se imparo a riconoscere e comprendere questi segnali di pericolo, posso prevenire certe situazioni prima che esse si manifestino in modo grave. È come se il mio corpo avesse quattro spie principali: la spia dell’olio, la spia del motore, la spia del carburante e la spia delle cinture di sicurezza”

“Il 50% delle persone che si allenano hanno problemi fisici, come media non è affatto male! Quindi, la risposta che verrebbe da dare è che l’uomo non è affatto una macchina perfetta, ma invece è esattamente il contrario… l’uomo è una macchina perfetta, ma in quanto tale non è semplice da guidare!”

Il corpo umano è una macchina. È una supercar quella con cui si esibiscono i grandi atleti, e i migliori tra i migliori sanno scaricare a terra tutti i cavalli del motore. È un’utilitaria, più o meno sprint, quella dell’atleta amatore, o di chi non pratica in maniera continuativa l’attività sportiva.


Il parallelo calza alla perfezione.”

 “Come descrivere il corpo umano se non paragonandolo ad una macchina? Così come in un qualsiasi macchinario ogni ingranaggio lavora in funzione di tutti gli altri.


Il corpo è una macchina che, potenzialmente perfetta, può andare incontro a deterioramento: vecchiaia, patologie, errori genetici possono modificare il nostro corpo rendendolo meno efficiente, portando addirittura la nostra stessa vita a finire. Laddove il corpo non può più arrivare, la scienza porta il suo fondamentale apporto per fare in modo che la macchina umana torni ad essere efficiente, preservando così la vita.

Ma a pensarci bene, cos’è la scienza se non un’emanazione della mente e del corpo dell’uomo? Ecco, quindi, che il cerchio si chiude: il corpo umano è una macchina perfetta.”

 In questo tipo di ragionamenti, che riflettono, senza dubbio, un sentire comune estremamente diffuso, due cose colpiscono particolarmente: la prima è la fede incondizionata nelle possibilità della scienza di “guidare” la macchina perfetta, la seconda è proprio la persistenza della fascinazione “Futurista” per il paragone automobilistico.

D’altra parte è la scienza stessa ad averci consegnato un modello del corpo umano in cui i muscoli sono assimilati a pistoni, le ossa a leve, le articolazioni a giunti meccanici, il cuore ed i vasi ad un circuito idraulico e così via.

Non c’è quindi da stupirsi se tali paragoni possono sembrarci così ovvi e familiari.

In realtà proprio in ciò che è “ovvio” spesso si nasconde la nostra ignoranza, o, per meglio dire la nostra illusione di sapere.

Il modello dell’”uomo macchina” viene assai da lontano* e fa parte di una visione della natura che tende a far rientrare il funzionamento dell’essere umano all’interno delle leggi della meccanica e della termodinamica (Meccanicismo).

Trovo che la classica fisiologia dell’esercizio sia la materia più acriticamente aderente al paradigma.

Meccanicista poiché considera, a tutti gli effetti, l’atleta come una macchina termodinamica capace di produrre lavoro meccanico.

Ecco che quindi prende vita il mito moderno della macchina perfetta che possiamo progettare, potenziare, riparare ed anche eventualmente “truccare” in modo da renderla funzionale ai nostri scopi.

Come sempre, la accettazione acritica del mito porta a conseguenze aberranti, ecco un altro articolo, di qualche anno fa, a proposito di Lance Armstrong:

“E’ uno degli atleti più studiati, costruiti, analizzati e allenati attualmente in attività. L’esempio vivente dei risultati di quell’allenamento scientifico fatto di cervello, e di scienza della medicina oltre che di muscoli. La sua corsa, fatta di potenza, rapidità e resistenza fa venire in mente l’atleta perfetto.”

In tema di paragoni mitologici potremmo assimilare le successive vicissitudini dell’”atleta perfetto” Armstrong ad una sorta di caduta degli dei.

Tuttavia, sebbene sicuramente l’opinione pubblica sportiva sia, in qualche modo, scossa dalle recenti vicende del doping, pochi hanno collegato il dilagare delle pratiche illecite ad una concezione quantomeno limitativa del movimento umano.

Le macchine hanno una loro fredda efficienza, producono lavoro misurabile, possono essere potenziate, tuttavia, alla fine si rivela dolorosamente frustrante cercare di adeguarsi al comportamento di una macchina se perdiamo di vista il fatto che l’uomo è un essere creativo e non produttivo.

Il corpo umano è capace di intrecciare modelli ritmici complessi come le macchine non sono assolutamente in grado di fare e questo crea livelli di complessità ben superiori a quelli risolvibili con una serie di equazioni meccaniche, ma apre anche la porta alla esplorazione di una nuova dimensione più ricca (e più umana) della prestazione sportiva.

Più in generale la vita stessa sfugge alle metafore meccaniche: tutti gli organismi viventi, a differenza delle macchine, sono “creativi”, rispondono e si adattano alle diverse sfide poste dall’ambiente e vederli come oggetti governati solo dalla chimica e dalla fisica ordinarie è un atto di fede in ossequio ad un dogmatismo non più supportato dai fatti.

Fabio Passafiume
Medico dello sport