Arrivare al termine costituiva soltanto una spezzatura provvisoria, prima di vero significato. Come nella vita. Il fatto che a un certo punto finisca non basta a darle un senso. Stabilire un punto finale provvisorio è soltanto un espediente, oppure una metafora indiretta della sua natura limitata. Pensieri molto filosofici. In quel momento però non mi sembrava di filosofeggiare. Era qualcosa che comprendevo direttamente con il mio corpo, senza esprimerlo la parole.
Dopo essere entrato nella parte finale, nella lunga penisola del Parco floreale, quella sensazione si è accentuata. Il mio modo di correre assomigliava a uno stato di meditazione. Il paesaggio lungo la costa era bellissimo, si sentiva l’odore del Mare di Okhotsk. Ormai era pomeriggio -ero partito il mattino presto- e l’aria aveva una particolare purezza. Anche l’odore dell’erba appena spuntata era forte. Vidi persino alcune volpi in un prato. Ci guardavano passare con aria stupita. Spesse nuvole minacciose che avrebbero potuto figurare in un quadro inglese del XIX secolo coprivano completamente il cielo. Non c’era un alito di vento.
Molte persone intorno a me trascinavano i piedi in silenzio verso il traguardo. In mezzo a loro io provavo un senso di pacata felicità. Inspiravo, espiravo. Non c’era affanno nel mio respiro. L’aria mi entrava molto dolcemente nel petto, poi ne usciva. Il mio cuore si espandeva e si contraeva silenziosamente a velocità regolare. I miei polmoni, come due mantici instancabili e onesti, portavano nel mio corpo nuovo ossigeno. Li vedevo, li udivo lavorare. Tutto funzionava alla perfezione, senza problemi. La gente lungo la strada mi gridava: “Forza, ormai manca poco!” Le loro voci attraversavano il mio corpo come un vento trasparente, riuscivo a sentirle mentre passavano e uscivano dall’altra parte.
Ero io, e non lo ero. Questa è la sensazione che provavo. Una sensazione molto tranquilla, molto serena. Mi dicevo che la mia coscienza era un’entità irrilevante. In quanto scrittore, quando lavoro non posso prescindere dalla coscienza, è ovvio. Dove non c’è coscienza, non può nascere un racconto soggettivo. Eppure non potevo fare a meno di pensare che la coscienza non fosse qualcosa di importante.