Le donne costituiscono il:
– 44 per cento delle forze di lavoro;
– 36 per cento dei supervisori e dei quadri;
– 25 per cento degli alti dirigenti e direttori esecutivi;
– 20 per cento dei membri del consiglio di amministrazione;
– 6 per cento degli amministratori delegati.
Nella situazione attuale la sottorappresentazione del genere femminile nel business non sarebbe dovuta alla sua carenza di capacità o di motivazione, bensì alla sua scarsa determinazione nel denunciare la scarsa professionalità dell’altra metà del cielo. Infatti, quando i maschi vengono selezionati e proposti per le mansioni di top management, alcuni tratti che dovrebbero accendere semafori gialli perché predittivi di potenziali fallimenti (l’overconfidence nelle loro potenzialità, l’autostima egoriferita narcisistica, la pervicacia nel voler raggiungere a tutti i costi gli obiettivi oppure l’indole al comando autoritario) vengono scambiati per doti straordinariamente positive. E spesso condensate nella parola magica carisma, ormai così spuntata da non comprendere più alcun significato preciso.
Il risultato di tutto ciò è che negli affari (ma nella politica non si è molto distanti) il machismo è diventato l’ingrediente per l’«uomo solo al comando», che tanto piace alla gente perché offre aspettative di chiarezza di guida, quanto poco poi funziona per lo spirito di gruppo e la coesione collettiva. E poiché questi capi sono più frequentemente maschi che femmine, la vulgata prescrive in modo stereotipato comportamenti mascolini nelle dinamiche decisionali, negoziali e di comunicazione.