La maggior parte delle persone con cui ho lavorato usa l’intensità della pratica per rafforzare una narrativa di bassa autostima e punizione, per disincarnarsi ulteriormente ed evitare di tornare a casa.
C’è una convinzione implicita e profondamente radicata che dice che dobbiamo soffrire per crescere. È essenzialmente di origine cristiana, ma si è estesa alla maggior parte degli aspetti delle pratiche psico-corporee di crescita personale. Oggi, lo hot yoga estremo, le ultra maratone e l’allenamento nel ghiaccio sono solo alcuni dei metodi più popolari per torturarsi nobilmente.
Gran parte di queste pratiche ha una qualità quasi sadomasochista e le persone caratterizzate da una sensibilità intorpidita diventano praticamente dipendenti da stimoli così estremi, in quanto permettono loro di risentirsi. Non è facile scrollarsi di dosso l’idea che solo le cose disagevoli possano portare benefici.
Pratiche classiche più delicate come il metodo Feldenkrais e Alexander rimangono alquanto in ombra, anche quando danno risultati dimostrabili. Questo è il lato oscuro del sacrificio. Anche se a volte vale la pena fare qualche rinuncia (spesso vedo che quando c’è un maggiore impegno di tempo/energia/costo le persone traggono maggior beneficio dai miei corsi), non è che la sofferenza crei automaticamente valore. Soffrire non è sempre vantaggioso.
Sto pensando di iniziare una pratica che chiamerò Hell Yoga™, dove torturo inutilmente le persone per fare un po’ di soldi e dimostrare questa tesi.