Ci penserà il cuore
Il bello di non dover decidere con la testa.

Questo seminario forse non lo volevo proprio fare. Il cuore per me è un ambiente ostico, meno lo pratico meglio sto. Ma poi quando a te manca il coraggio, ecco che il mondo si dispone e ti da un calcio all’anima. Metaforico.

Ti dice: ce la puoi fare, ma alla fine cosa succederà mai?

Accidenti, migliaia di lucciole. Da non crederci. Ti arrivano lì tutte insieme, ti prendono le emozioni ne fanno una poltiglia, e ti tramortiscono.

Tié. Ora vedi che puoi fare.

E tu allora ricorri al più stupido degli escamotage, apri il telefono, cerchi la canzone più adolescenziale che conosci, quella canzone che tutti cantano col cerino acceso, anzi di questi tempi con lo schermo del telefono per aria, per cui i concerti sembrano uno spot di una nota marca telefonica, e te la spari nel bosco di fronte alle lucciole.

Così sogni un po’, ritorni nelle emozioni ragazzine, ti commuovi forse per davvero, spegni la musica e ti accorgi che no, non è questo. Troppo furbo.

Le lucciole sono un’altra cosa.

Le lucciole sono la prova vivente che le emozioni esistono per davvero. Che non sono parole di una canzone, ma abitano le tue cellule. Ogni singola cellula mantiene la memoria delle emozioni che hai vissuto.

Ma le lucciole sono anche qualcosa di più, sono le emozioni fragili che stai coltivando e curando da poco. Quelle che ti descrivono meglio.

La gentilezza, la timidezza, la speranza, il timore, la sensibilità nel cogliere i desideri e i piaceri dell’altro per poterli nutrire.

Poi inizi il seminario. All’inizio fai un atto di fede, sei ancora reticente.

Poi però succedono delle cose, una persona inizia a parlarti e scoperchia tutta la parte emotiva, ludica, giocosa che negli ultimi tre anni ti eri negata. Così all’improvviso, entra e poi va via. E lo lasci fare perché alla fine sai che tu sei anche quello. Anzi forse sei soprattutto quello, ma avevi fatto finta di metterci una maschera sopra, razionale, cinica.

Un personaggio da circo lo sei stata sempre. Un po’ pazza lo sei ancora.

Poi ti lasci andare pezzo per pezzo.

Le viscere, i reni, il fegato, il quinto quarto come si dice a Roma…

Sapendo che a svegliare il cuore ci arriverai il pomeriggio della domenica.

E forse, anche se hai una paura fottuta, lasci che sia.

Poi però succede l’assurdo. Non c’è tempo, il cuore non si fa.

Non si fa???????

E che cazzo no, si fa eccome.

Sono tre anni che tento di trasformare un cuore di cartapesta in un cuore vero e ora non si fa? Passerete sul mio cadavere, miei cari….

Ok, ok, si fa, si fa.

E tu dici: ora arrivano di nuovo le lucciole. E invece no. L’anatomia esperienziale è tutta un’altra cosa. Mica fronzoli. No frills, come diciamo noi pubblicitari.

L’anatomia esperienziale ti porta a girare attorno al cuore di carne, a fartelo toccare con mano, a conoscerne la consistenza, ad osservarlo da tutte le parti. Lo senti eccome.

Per 51 anni non c’è l’avevi e ora ce l’hai.

Lo senti dentro, lo sistemi, lo ascolti, aspetta che gli faccio spazio perché sta scomodo.

Non è più un agglomerato di lucciole. O l’intangibile idea che ti sei fatto di lui.

Il giorno dopo scopri che lui sta lì, ancora.

Hai la netta sensazione che finora i romanzi e il cinema ti hanno raccontato un sacco di strozzate. E hai la sensazione che d’ora in poi niente sarà come prima.

E che prima se pensavi ad una relazione pensavi ad una grande danza di lucciole.

E che ora devi fare i conti con quella cosa lì.

E stanotte mi sono svegliata pensando che una relazione è una roba per cui non so se avrò veramente le risorse. O forse sì. Aspetta provo a chiederlo al mio cuore. In fondo ora non devo più decidere da sola con la testa. Ora siamo in due.

Patrizia Boglione