Due mani o dieci dita?
D. Puoi dirci altro?
R. “Ricordo che, quando ero tredicenne, nella scuola ebraica c’era una classe di canto (mio padre era un insegnante di quel corso) e c’era un ragazzo che era mono-tono nel senso che poteva cantare una sola nota. Dissi a mio padre che avrei potuto insegnare io a quel ragazzo come cantare in altre note perché sentivo come pensava e quindi potevo spiegargli come doveva pensare per cantare le altre note. Fu così che dopo due o tre lezioni era in grado di farlo”.
“Cominciò cosi progressivamente a delinearsi quella che attualmente è la mia attività. Avevo una studentessa che studiava pianoforte. Un giorno venne con sua madre; il problema era che lei suonava il pianoforte molto bene, essendo una studentessa eccellente, ma non era assolutamente in grado di suonare Bach. Perciò guardai la studentessa e le dissi di provare a suonare un po’. Lei suonò ed io l’ascoltai. Le chiesi se per caso la sua insegnante le aveva detto che la mano destra non deve sapere quello che fa la sinistra. Rispose affermativamente. Le dissi allora che non doveva prendersela con la sua insegnante e che non doveva pensare di avere due mani, ma dieci dita che poteva mescolare come voleva e fu così che da allora fu in grado di suonare Bach! Mentre insegnavo a cantare diventavo a poco a poco anche uno psicoterapeuta.”
La memoria si fa corpo
“I ricordi sono immagazzinati nel corpo ovunque, a posti differenti corrispondono ricordi differenti. In pratica io lavoro sia a livello fisico che a livello psichico. Per esempio, se una persona ha qualche problema alla schiena e mi viene mandata dal suo medico e questa persona acconsente a fare anche un lavoro sulla schiena, quando lavoro sul punto in questione sulla schiena generalmente emerge qualche pensiero sul quale poi lavoriamo insieme. Puoi fare emergere materiale inconscio fisicamente, tanto quanto parlando! E molto spesso accanto ai problemi psicosomatici esistono quelli somatopsichici. Se hai una spina dorsale deformata essa ti crea delle limitazioni a tutti i livelli e la tua vita psichica è differente”.
“Molti credono che noi pensiamo solo con la mente e che questa sia tutto il nostro Sè. Invece noi pensiamo con tutto il nostro corpo. Il cervello non lavora mai da solo, ma con tutto il sistema nervoso e quindi, quando pensi, pensi con tutto il tuo essere!” .
“Anche il linguaggio che usiamo rivela questo fatto; diciamo infatti ‘masticare un’idea’, ‘digerire un’idea’ e cosi via”.
“Molto del lavoro che faccio con i miei pazienti è tuttavia rivolto ad un miglior uso del loro cervello. Prova a pensare ad un bambino che gioca con i soldatini; ci possono essere due eserciti, molti generali, ma quanti sono quelli che operano? Solo uno, solo un operatore. Noi dobbiamo attivare questo operatore che agisce dietro le quinte”.
Ulteriori sviluppi
D. Come pensi potrà svilupparsi ulteriormente questa tua tecnica?
R. “Beh, le persone che si stanno evolvendo in questa direzione, che stanno usando il loro cervello in questo modo e che hanno una sensazione di sè di questo tipo, sono in genere piuttosto serene, con una grossa capacità di poter fare molte cose, e sono anche persone molto pacifiche, in quanto, quando arrivi a centrarti in questa parte dentro di te, acquisisci la netta sensazione che siamo tutti la stessa cosa, che gli altri sono parte di te e tu degli altri. In questo senso ho potuto vedere delle grosse trasformazioni nelle persone che ho seguito”.
D. Dopo quanto tempo in genere, si osserva una trasformazione della personalità nel senso da te prima descritto?
R. “Generalmente dopo un anno. Tuttavia si tratta in pratica di un processo senza limiti. Tengo, ad esempio, una classe che potremmo definire di post-diplomati, nel senso che non hanno più bisogno di imparare la tecnica, ma che continuano perché desiderano evolversi ulteriormente, perché tutto ciò è affascinante e desiderano conoscersi ancora di più”.
D. Hai mai avuto esperienze con clienti schizofrenici?
R. “Si, è molto importante un lavoro di tale genere, cioè di centratura, di ritorno all’unità in questo tipo di pazienti” (n.d.r.: schizofrenia’ deriva dal greco e significa ‘mente divisa’, ma anche numerosi studi recenti hanno rivelato negli schizofrenici una carenza di scambio di informazioni tra i due emisferi che, secondo alcune correnti, potrebbero essere addirittura una delle cause della malattia).
D. Ti è mai capitato nella tua esperienza che qualche paziente, ne “venisse fuori”?
R. “Si, potrei dire “ne venisse dentro!” E’ molto importante, secondo me, utilizzare anche graficamente la giusta direzione, in quanto siamo condizionati dall’espressione grafica e cosi, se dici venire fuori o venire dentro, è differente, perché ti dai due direzioni differenti. Perciò sto cercando di ripulire il mio linguaggio e quello delle persone che seguo da tale tipo di errori perché, condizionandoti, ti limitano. Con questo non voglio dire che io non commetta errori in quanto viviamo tutti nella stessa cultura”.
La saggezza interna che precede la coscienza
D. Questa è l’unica tua attività?
R. “Attualmente lavoro molto con artisti, cantanti, ballerini, scrittori, pittori. Qualsiasi cosa essi facciano io li aiuto a farla meglio. Non perché io, ad esempio, sappia suonare meglio di loro, ma insegno a saper ascoltare, sentire”.
D. Cosa, secondo te, limita le persone che acquisiscono tale tecnica dallo sfruttarne appieno il suo potenziale?
R. “Le difficoltà sono le stesse che puoi trovare nel corso di una psicoanalisi. La sensazione che si potrebbe essere diversi, la paura che essere differenti possa comportare un cambiamento di rapporto affettivo con il mondo. Forse il più grosso ostacolo è la paura del potere che si acquista, in quanto questo ci dà una grossa responsabilità; infatti la passività non è più giustificata dall’impotenza. Tutti i bambini formulano una specie di promessa di impegnarsi per cambiare il mondo, e quando si ha la sensazione di poterlo fare ci assale una grossa paura di rompere la promessa se non si agisce tale possibilità”.
Un episodio curioso
D. Nel training che proponi, inizialmente il lavoro mira a focalizzare l’attenzione e l’energia nel centro del cervello. E poi?
R. “Poi si cerca di bilanciare i due emisferi. Successivamente puoi spostare la tua attenzione all’interno del cervello accertandoti che tutto reagisca normalmente appena fai lavorare i tuoi sensi, e cosi via”.
D. Puoi raccontarci qualche episodio curioso riguardante il tuo lavoro in questi anni?
R. “Beh, (ridendo) se intendi cose del tipo di prevedere il futuro non ho nessun episodio del genere da raccontarti, ma se intendi qualche episodio buffo posso accontentarti. Mi ricordo che un celebre violinista, che aveva problemi alle dita, venne da me. Facemmo alcuni esercizi riguardanti il modo di percepire il proprio corpo e di sintonizzarsi su di esso e sulle sue sensazioni mentre cantava e mentre suonava”.
‘Un giorno, mentre faceva questi esercizi al violino, lo sbattè violentemente. Al che gli chiesi cosa stava succedendo. Mi rispose che non poteva più studiare con me. Gli chiesi perché ed egli mi disse che non aveva mai suonato in quel modo e che andava ben oltre qualsiasi livello egli si fosse mai potuto immaginare di raggiungere. Ma non capisci-mi disse-il violino è la mia vita, io ho sudato e combattuto con lui da sempre, anche per nove, dieci ore al giorno; se continuo a lavorare con te quanto mi servirà esercitarmi? Non più di un’ora o due al giorno e cosa ne faccio delle altre ore?”.
Sensi intercambiabili
D. In questo momento, mentre stai parlando, in che condizione ti trovi?
R. “Diciamo che sto utilizzando il mio corpo ed i miei sensi in maniera più o meno totale. In altre parole io non sto analizzando le singole percezioni dei miei sensi, ma è come se avessi una sensazione totale di te. Tutti i sensi hanno un substrato comune di vibrazioni elettromagnetiche, per questo sono interconnessi e in un certo senso anche intercambiabili. Cosi ogni sensazione può essere trasformata in un’altra. E per questo, ad esempio, che si usano cosi tanto aggettivi caratteristici di un senso per descrivere sensazioni di un altro senso. Cosi, quando guardo una persona ho, ad esempio, una sensazione della sua pelle simile a quella che avrei se la toccassi. Per avere e capire questo tipo di sensazioni è utile integrare tutte le informazioni che ci arrivano dall’esterno senza analizzarle ad una ad una”.
Per capirsi meglio
D. Perchè utilizzi queste tecniche anche quando parli con una persona?
R. “Ci sono dei motivi prettamente pratici, come, ad esempio, il fatto che capisci molto di più una persona, hai una sensazione migliore delle cose che dice. In inglese noi diciamo “to size up a person” (che letteralmente è un rafforzativo di ‘misurare’) e più esatte sono le informazioni che ne trai, migliori sono le conclusioni a cui si arriva”.
D. Puoi spiegare il tuo modo di vedere il transfert?
R. “Quando c’è una situazione di transfert, quando cioè un paziente identifica il terapeuta con un’altra figura del suo passato, come ad esempio la madre o il padre, puoi vedere che il fuoco degli occhi del paziente è differente da quello che ha normalmente quando riconosce la tua vera identità. Il paziente che si trova in una situazione di transfert è come se mettesse a fuoco su un piano che è tra lui ed il terapeuta, come se ci fosse uno schermo immaginario su cui lui proietta le sue figure. Se tu però lo aiuti ad allungare il suo fuoco la situazione di transfer si evolve. Io tuttavia non credo nella regressione; secondo me il bambino dentro di noi è una parte della nostra più genuina identità”.
Cosa succede a livello neurofisiologico?
D. Hai qualche ipotesi riguardo alle corrispondenze anatomofisiologiche delle tue tecniche?
R. “Personalmente credo che la posizione da me suggerita favorisca un maggior afflusso di sangue ed energia al cervello. A quella zona che noi chiamiamo ‘centro del cervello’, corrisponde il corpo calloso, che come saprai meglio di me, è costituito da un insieme di fibre che servono a collegare i due emisferi cerebrali.
E’ chiaro che più sangue ed energia arrivano in questa zona, maggiormente i due emisferi lavorano insieme, permettendo di integrare gli aspetti razionali coscienti con quelli intuitivi inconsci”.
L’abilità di Grunsberg a ‘leggere nel pensiero’ è dovuta alla capacità di abbandono dell’analisi razionale a favore di una sensazione non analitica. È qualcosa che deriva dall’integrazione di una serie di elementi che, percepiti a livello inconscio, vengono confrontati (sempre a livello inconscio) con le sensazioni provenienti dal proprio corpo. Si potrebbe parlare, improvvisamente, di una sorta di immedesimazione nell’altro per elaborarne un vissuto personale che, proprio perché non è descrivibile, tuttavia ci dice molto di più delle cose di quanto riusciremmo a capire con le nostre capacità analitiche. E’ un po’ come quando scopriamo che la prima impressione avuta conoscendo una persona era quella più vera.
Quando il discorso è passato agli sviluppi attuali e futuri delle sue tecniche, Amos ha chiesto cortesemente di spegnere il registratore. C’è in lui un certo scetticismo nel parlare di queste cose ad una cultura che “vede” proprio in quella chiave esclusivamente razionale che egli cerca di superare con le sue tecniche di sintesi. Difficile dargli torto…