Da questo corpo, perché lasciasse passare il messaggio, bisognava alla fine sprigionare il movimento; liberarlo dai modelli classici, dalle regole prefissate, perché potesse esprimere tutte le emozioni umane.
Bisognava che questo movimento invadesse tutto il corpo e non solo le gambe. A Isadora Duncan non piaceva né la formazione della danza classica né quella della ginnastica svedese, perché, diceva, lo sviluppo del corpo o di un determinato movimento è fine a se stesso.
Anche nell’allenamento alla danza, prima con la ginnastica che prepara il corpo ad obbedire a qualunque comando, poi con la danza stessa, nessun esercizio deve essere astratto dal significato vitale dello spirito che lo anima: nessun esercizio, diceva, deve essere solo un mezzo per arrivare a un fine, ma un fine in sé, fine che era quello di fare ogni giorno della vita un’opera completa e felice.
Lo sforzo principale era uno sforzo di spogliamento: perché l’espressione raggiunga il massimo di intensità bisogna epurarla da tutto ciò che è aneddotico e individuale.
È così che le opere delle arti plastiche raggiungono la monumentalità e irradiano al di la del quotidiano i grandi simboli della vita.