Lo si può provare compiendo un semplice esperimento. Se prendete un mantello che vi arriva fino in fondo ai piedi, e lasciate sbucare all’estremità superiore solo la testa, quando vi mettete a parlare, vi accorgerete da soli come sia il vostro ascolto sia la vostra voce possano assumere caratteristiche diverse. La voce perde le sue qualità più calde, scompaiono le frequenze gravi, la voce diventa più stridula, il ritmo si fa irregolare, lo stesso discorso non fluisce più scorrevolmente dalle vostre labbra.
È infatti la superficie rappresentata dalla pelle che assicura la continuità tra l’udito e il resto del corpo. Sembra incredibile ma chi pensava che l’orecchio fosse soltanto un pezzo di pelle differenziata si è imbattuto nella scoperta più grande, che è la stessa pelle ad essere uno strumento di ascolto. Esiste una vera e propria geografia della sensibilità cutanea all’ascolto.
Attraverso “audiogrammi” cutanei o “dermogrammi” si sono individuate le zone più sensibili all’ascolto. La pelle si risveglia all’ascolto solitamente tra i 10 e i 15 decibel. Le stimolazioni variano a seconda delle diverse parti.
Per esempio la mano e la parte palmare dell’indice sono decisamente più sensibili del gomito. Le zone più indicate alla ricezione fonica sono quelle costituite dalla “pinza” indice-pollice della mano destra. Ma ve ne sono molte altre. Per esempio la zona frontale in mezzo agli occhi è estremamente sensibile ai suoni. Inoltre pelli bianche e delicate possono essere ipersensibili ai suoni, così come gli albini soffrono per la troppa luce e il troppo sole.
Tra sensibilità cutanea e fonazione sono stati da tempo stabiliti stretti rapporti di correlazione. La pelle si trasforma in una specie di tastiera cutanea. Per cui si potrebbe dire che parlare e ascoltare è un po’ come giocare con il proprio corpo. E con quello dei nostri interlocutori.