Un processo collettivo, di fatto, percorre le stesse tappe fondamentali di un processo individuale. Quindi per analogia se si conoscono quali sono le tappe caratteristiche di quest’ultimo, si può anche dedurre quali saranno quelle che percorrerà il processo collettivo. Dal momento che l’evoluzione collettiva del vestire partecipa all’evoluzione del modo di essere corpo e questa, a sua volta, segue principi prevedibili in quanto simili all’evoluzione di un singolo, cosa possiamo dedurre sulla situazione attuale e sulle tendenze dei prossimi anni?
Il momento collettivo attuale è estremamente peculiare ma per capirne con chiarezza e profondità il motivo dobbiamo fare riferimento alla fase corrispondente all’evoluzione individuale riassumendo, in poche righe, quello che è il processo fondamentale a cui va incontro un individuo.
Nell’individuo c’è quasi sempre una spaccatura tra ciò che è realmente e ciò che vorrebbe essere in conformità con le aspettative famigliari e con le influenze culturali dell’ambiente in cui è cresciuto. Alla nascita ogni individuo è perfetto, con una sua organizzazione di istinti e bisogni fisici e psicologici perfettamente bilanciata, e dal momento in cui entra nella vita questa organizzazione comincia a dover fare i conti, non solo con le sue esigenze, ma anche con la realtà circostante e le sue pressioni. Diventa necessario a questo punto crearsi un’identità, un centro di coscienza che, al fine di coordinare queste diverse esigenze, produce una rappresentazione di sè, detta Io. Normalmente tale rappresentazione è sbagliata in quanto condizionata dalle pressioni della cultura in cui si cresce. Questo porta ad un senso d’inadeguatezza, di insicurezza, di disagio che fa sì che l’individuo cominci a considerarsi più che altro una brutta copia di ciò che pensa di dover essere. Anche se questa idea di sè è sbagliata, la reazione di una persona sana (o “sanamente nevrotica”) rispetto a questo sbaglio non è quasi mai quella di correggere l’errore, quanto piuttosto di cercare di adeguare ad esso la propria perfezione iniziale, perché a prevalere è il bisogno di integrazione nella propria famiglia e nella propria cultura. In questo processo l’individuo comincia a deformarsi e a manipolare la propria psiche e il proprio corpo per renderli il più possibile adeguati alle aspettative.
Il punto critico
In genere il processo prosegue fino ad arrivare ad un punto critico nel quale chi pensiamo di essere è così distante da chi siamo veramente che una svolta più o meno decisa si rende necessaria. In alcuni casi la svolta avviene in modo drammatico – per esempio con una grave malattia – altre volte la tendenza cambia semplicemente, da un certo punto in poi, senza drammi. Da questo punto in poi l’Io inverte la rotta, smette di impegnarsi per deformare il corpo e la psiche secondo gli ideali adottati e comincia invece ad apprezzare e ad ammirare lo straordinario disegno e la ricchezza intrinseca nel proprio modo di essere e quindi a dedicarsi al recupero di molti aspetti di sè che prima erano rifiutati, negati, alienati, proiettati su altri.
Se dovessimo rapportare il momento attuale al processo individuale potremmo affermare che siamo esattamente al giro di boa appena descritto. Oltre ad essere un momento storico particolarmente eccitante è anche un momento storico che può comportare una certa difficoltà di comprensione. Ciò che succede, infatti, ad un giro di boa è che mentre una parte delle barche sta andando in una direzione, un’altra parte sta andando nella direzione diametralmente opposta, creando confusione negli osservatori che non sanno come leggere la sequenza.
Farò alcuni esempi in altri campi che, come il vestire, coprono bisogni primari dell’uomo come l’alimentazione e l’abitare.
Mcdonaldizzazione e umanizzazione
I due processi contemporaneamente in atto – il prima e dopo la boa – sono, da una parte, la Mcdonaldizzazione, cioè l’esasperazione del processo di razionalizzazione, globalizzzazione, omogeneizzazione e omologazione del prodotto e, dall’altra, l’umanizzazione e l’individualizzazione dello stesso o per usare altri termini: l’Hi-tech e l’Hi-touch.
Così mentre da una parte c’è un processo per cui, negli ultimi anni, 4/5 dei cafè tipicamente francesi sono spariti e ogni 5 minuti nasce invece un altro McDonald che servirà lo stesso hamburger a Parigi e a Nizza, a Los Angeles e a Pechino, fatto con lo stesso 19% di grassi e cotto negli stessi 13 secondi, e gli altrettanto tipici Pub inglesi si sono ridotti a cloni di due uniche varietà corrispondenti alle 2 marche di birra che si sono divise in franchising il mercato, dall’altra si assiste ad un fiorire di iniziative originali e individuali orientate a riscoprire il biologico, il locale, lo storico, la biodiversità e così via, e si stanno creando tanti piccoli laboratori artigiani che producono piccole quantità di birra non pastorizzata per il consumo locale.
Analogamente in architettura, mentre da una parte si stanno saturando gli ultimi spazi verdi con la costruzione intensiva di uniformi villette a schiera, dall’altra si valorizza l’originalità dei centri storici e si nota fermento ed interesse nei confronti della bioarchitettura che segue necessità umane più che di razionalizzazione produttiva.
Queste due tendenze si possono osservare anche nella moda dove da una parte abbiamo lo stesso processo di Mcdonaldizzazione per cui a Firenze, a Auchland o a Bali si comprano le stesse magliette che si possono acquistare in un centro commerciale della provincia di Brescia, e dall’altra si riscopre la magliaia o l’artigiano che fanno il capo su misura.
Ma l’altro aspetto, probabilmente ancora più interessante, di queste due tendenze opposte che si stanno incrociando al giro di boa, è il fenomeno per cui da una parte abbiamo un’esasperazione – senza precedenti negli ultimi decenni – alla modificazione della “forma” naturale del corpo, e dall’altra la ricerca e la valorizzazione di quest’ultima.
Così mentre troviamo la riscoperta del corsetto vittoriano abbiamo anche abiti larghi, comodi e morbidi come non mai; scarpe con zeppe e tacchi altissimi accanto a modelli che, dopo secoli, lasciano al piede la possibilità di assumere la sua forma naturale a dita aperte invece che accavallate o a martello; tessuti di plastica rigida accanto alla scoperta di materiali naturali e non trattati; colori fluo accanto ai colori originali della natura.
Come nel processo di Mcdonaldizzazione rispetto a quello di umanizzazione, anche queste tendenze opposte sono epifenomeni dello stesso processo in atto: l’esasperazione del controllo e della razionalizzazione da una parte che vira e si tramuta in riscoperta di sè e della propria individualità dall’altra e che, come abbiamo visto precedentemente, appartengono sì ad un processo collettivo ma che rispecchia un percorso che la maggior parte delle persone si ritrovano comunque a vivere prima di tutto a livello individuale nella propria vita.
Una piccola esperienza pratica
Prima di concludere ho pensato di proporre a chi lo desidera un’esperienza pratica che permetta di comprendere nel proprio corpo direttamente, concretamente ed esperienzialmente le due direzioni di cui abbiamo appena parlato che sono: la modificazione della forma e dell’espressione del corpo e la sua riscoperta e valorizzazione.
Seduti su una sedia, con i piedi scalzi e ben appoggiati a terra, guardate in alto verso il soffitto e osservate fin dove arriva il vostro sguardo quando flettete la testa all’indietro. Prestate attenzione a cosa vi succede mentre effettuate questo movimento, a quando esattamente cominciate a sforzarvi e a ciò che accade alla vostra respirazione. Ora spostate l’attenzione ai piedi. Appiattite bene un piede a terra, con la punta in avanti, poi flettete lentamente le dita del piede verso il basso e, mantenendo le dita e il tallone a terra, fate un arco con la pianta del piede, come per accorciarla. Riportate il piede nella posizione iniziale, appiattendolo sul pavimento, e ripetete l’intera sequenza varie volte, cercando di ridurre sempre di più lo sforzo necessario, fino ad eseguire il movimento con scioltezza. Ora, mantenendo la pianta del piede a terra, sollevate le dita del piede verso l’alto. Alternate varie volte i due movimenti, flettendo la punta del piede verso l’alto e verso il basso, sempre con il tallone ben appoggiato sul pavimento. Le dita puntano verso il pavimento quando sollevate la pianta del piede e verso il soffitto quando la riappoggiate a terra. Ora riportate il piede nella posizione di partenza e tornate a flettere la testa all’indietro. Dove arriva ora il vostro sguardo? L’operazione vi risulta più facile adesso?
Analogamente avrei potuto chiedervi di fare l’esperimento non sulla flessione ed estensione del piede ma sulla sua rotazione sull’asse della tibia (aprendo cioè il 5° dito a ventaglio) e quello che avreste notato comparando la capacità di rotazione della testa sarebbe stato un aumento di qualche decina di gradi dell’escursione verso destra e verso sinistra.
Se pensiamo che un semplice tacco ferma la mobilità del piede sul piano longitudinale così come una punta stretta inibisce quella sul piano orizzontale possiamo capire come particolari anche molto insignificanti del vestire possano influire profondamente sul modo di essere della persona.
Perchè il problema non è tanto la mobilità della testa quanto che la sua riduzione cambia molto anche il nostro modo di pensare, la nostra visione delle cose, il nostro senso di sicurezza, equilibrio e stabilità. I processi fisici e psichici sono, infatti, lo stesso fenomeno semplicemente osservato da due punti di vista diversi e chiamato con due nomi differenti.
Il momento evolutivo, che il collettivo e la moda di pari passo stanno attraversando, è quello per cui da un lato abbiamo persone che come non mai sono disposte a tutto pur di trovare sicurezza e identità cercando di rassomigliare quanto più possibile a Barbie o ad altri modelli di ispirazione formale e che per questo sono disponibili a contrarre e restringere i propri piedi e la propria pancia, ad imbottire e tenere all’insù spalle e seno e dall’altro persone che hanno già dato o che visto i prezzi e le delusioni, hanno rinunciato a dare e stanno riscoprendo il piacere fisico di aprire i propri piedi, di liberare il respiro nella pancia e di lasciare che le spalle e il seno cadano naturalmente assumendo la loro forma naturale.