Più parole, piú possibilità
Come la povertà di parole impoverisce l’intelligenza.
Il rapporto fra ricchezza delle parole e ricchezza di possibilità è dimostrato dalla ricerca scientifica, medica e criminologica: i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici scarsi e inefficaci, sul piano del lessico, della grammatica e della sintassi.

Non sono capaci di gestire una conversazione, non riescono a modulare lo stile della comunicazione – il tono, il lessico, l’andamento – in base agli interlocutori e al contesto, non fanno uso dell’ironia e della metafora. Non sanno sentire, non sanno nominare le proprie emozioni. Spesso, non sanno raccontare storie. Mancano della necessaria coerenza logica, non hanno abilità narrativa: una carenza che può produrre conseguenze tragiche nel rapporto con l’autorità, quando è indispensabile raccontare, descrivere, dare conto delle ragioni, della successione, della dinamica di un evento.

La povertà della comunicazione, insomma, si traduce in povertà dell’intelligenza, in doloroso soffocamento delle emozioni. Questo vale a tutti i livelli della gerarchia sociale, ma soprattutto ai gradi più bassi. Quando, per ragioni sociali, economiche, familiari, non si dispone di adeguati strumenti linguistici; quando le parole fanno paura, e più di tutte proprio le parole che dicono la paura, la fragilità, la differenza, la tristezza; quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, manca un meccanismo fondamentale di controllo sulla realtà e su se stessi. La violenza incontrollata è uno degli esiti possibili, se non probabili, di questa carenza. I ragazzi sprovvisti delle parole per dire i loro sentimenti di tristezza, di rabbia, di frustrazione hanno un solo modo per liberarli e liberarsi di sofferenze a volte insopportabili: la violenza fisica.

Gianrico Carofiglio
dal libro La nuova manomissione delle parole