Nel comune modo di percepire, il capire sembra quasi sempre un’operazione ponderosa, concettosa, che richiede concentrazione, a volte sforzo, saggezza posata e serietà.
Chi prende le cose alla leggera al contrario pare condannato a essere perennemente superficiale, dinoccolato, e a fischiettare tutto il giorno Don’t worry, be happy di Bobby McFerrin.
Per fortuna ta ci viene in soccorso, a sanare questa falsa incompatibilità: difatti ta significa esattamente “capire le cose, e proprio per questo prenderle alla leggera”.
Proviamo un po’ a pensarci: se un concetto come ta fosse endemico e diffuso nella nostra cultura quanto, poniamo, il concetto di competizione, come cambierebbe il nostro modo di vivere una crisi, o un cosiddetto insuccesso?
Sarebbe molto più immediato riconoscere che se non abbiamo raggiunto un certo obiettivo non è una questione di fallimento o scalogna nera, ma è che semplicemente non eravamo ancora pronti.
Che, ad esempio, la frustrazione per la mancata realizzazione di un sogno assai eccitante e vagheggiato può essere non una sfortuna, bensì una salvezza per una struttura psicologica non ancora pronta a realizzarlo.
Che ciò che succede malgrado la nostra massima disapprovazione è proprio ciò di cui avevamo bisogno, anche se non potevamo permetterci di dirlo o di saperlo.
O infine che, a volte, ci si può permettere di non capire nulla della vita forse perché non c’é proprio nulla da capire, e non per questo rinunciare a viverla pienamente. Un po’ come Charles M. Schultz quando dice: «La mia vita non ha scopo, né direzione, né significato, eppure sono felice. Non riesco a spiegarmelo. Che cosa sto facendo di giusto?».