Di fatto ci rimanda un’immagine svalutante di noi stessi, che non fa altro che confermarci nel nostro problema, ‘bloccandoci’ molto più di quello che la nostra strategia fisica o psicologica non stia già facendo in quel momento. Favorire la nostra identificazione con quella parte dissociata o problematica di noi stessi, invece che renderci consapevoli dei vantaggi che ci sta offrendo e del potenziale inespresso che ancora abbiamo, può avere un effetto fortemente distruttivo.
Ogni ‘blocco’ e ogni ‘resistenza’ hanno una loro motivazione all’interno della nostra strategia di vita, e se qualche volta siamo pronti a rinunciarvi, assumendoci in modo più diretto il compito che deleghiamo ai nostri ‘blocchi’, qualche volta non è così.
Il modo in cui più probabilmente si esce da una situazione di stallo di questo tipo, oltre che sostituendo termini come ‘blocco’ con altri quali ‘potenziale inespresso’, è semmai quello di rispecchiare la parte sana, ovvero amplificare la parte più libera e in evoluzione della persona piuttosto che enfatizzare quella più statica o in difficoltà.
Uno dei principali motivi per cui in alcuni casi si è portati a parlare di ‘blocchi’ può in fondo essere ricercato nel bisogno di autoproteggersi dal senso di inadeguatezza, molto presente nel momento in cui l’altro, magari dopo aver chiesto aiuto, oppone una forte resistenza al cambiamento, che scoraggia dal lasciar andare le cose per il loro verso, con i loro tempi. Analogamente, quando si parla di ‘resistenze’, si sottolinea l’aspetto malato e testardo, invece che l’aspetto funzionale e protettivo delle modalità messe in atto dall’altro. Dopo tutto, la presenza di una ‘resistenza’ – impossibile se non c’è stata anche una spinta – segnala in genere un tentativo di forzatura. Indipendentemente da dove quest’ultima sia nata, è su di essa che conviene porre l’attenzione.