Un giorno il giovane Gosse si accorse che il padre sosteneva un’opinione scioccamente errata: “Dalla divinità, dalla forza naturale d’immenso prestigio, qual era, decadde ai miei occhi a un livello umano Non era più il caso di accettare senz’altro ogni sua affermazione.”
La scoperta della fallibilità del padre non fece sì che il giovane si ribellasse, né che costringesse direttamente il padre a riconoscere il suo errore. Ma una parte di lui si allontanò dal padre. Gosse dice che “il pensiero più curioso tra i tanti che passarono per il mio piccolo e rudimentale cervello in quella crisi fu l’aver scoperto un compagno e un confidente in me stesso. C’era un segreto a questo mondo che apparteneva a me e a qualcuno che viveva nel mio stesso corpo”.
Il termine tedesco per indicare questa consapevolezza è preciso: Il Doppelgänger (approssimativamente: un senso di sé sdoppiato, una doppia esistenza). “C’erano due io,” scrive Gosse, “e potevano parlare tra loro…”
È difficile definire impressioni così rudimentali, ma è certo che fu in questa forma duale che acquistai improvvisamente il senso della mia individualità, ed è ugualmente certo che mi fu di gran sollievo trovare un confidente nel mio stesso seno.