L'insufficienza del linguaggio
Dove il linguaggio si fa parola?
Pare strano, ma là dove noi non troviamo la parola giusta
per qualche cosa che ci tocca, ci trascina, ci tormenta o ci entusiasma.
Heidegger
L'orizzonte del sentimento è molto più ampio dell'orizzonte della parola.
Se per la densità, la tortuosità, la sinuosità, l'ineffabilità del nostro sentimento trovassimo la parola giusta, questa lo racchiuderebbe come una lapide sigilla una tomba. E’ infatti nella natura del sentimento non lasciarsi esaurire dalle parole che lo nominano e, grazie all'insufficienza espressiva delle parole, il sentimento può lasciar trasparire quello che è suo proprio: l'inesprimibile.

Il sentimento, infatti, vive proprio nel non riuscire mai a dirsi completamente, quindi nel suo custodirsi come riserva sorgiva di un’ulteriorità di significazioni, esattamente come la parola poetica che non nomina mai “questo” o “quello”, se non per alludere a un’eccedenza di senso a cui nessuna parola propriamente corrisponde.

Per questo ogni parola dettata dal sentimento e orlata dal silenzio, dove risuona tutto il senso che la parola enunciata non riesce a dire. Ma chi vive il silenzio come una riserva di senso? Chi va alla ricerca del suo risuonare? Chi si pone sulla soglia del non-detto, che non è il taciuto, ma ciò che nessuna parola riesce propriamente a dire? Nessuno.

Perché la nostra cultura, che è una cultura dell’inflazione delle parole, ama l’esplicitazione totale, l’enunciazione chiara, la significazione definita, e, temendo tutto ciò che sfugge al controllo, guarda con sospetto ciò che si sottrae alla verbalizzazione. Come per esempio l’insondabilità del silenzio, l’impenetrabilità del segreto, e in generale tutti quei recessi dove la profondità del senso non si espone, non si esplicita, ma si custodisce.

L’insufficienza del linguaggio non è semplice povertà linguistica, ma segno che l’orizzonte del sentimento è molto più ampio dell’orizzonte della parola. E proprio là dove la parola manca, siamo nelle prossimità di un evento sentimentale non ancora usurato dal linguaggio o non ancora raggiunto nella sua abissalità.

Ma chi ama gli abissi del sentimento che non si lasciano esprimere nei modi? Chi, senza terrore, sa porsi in ascolto di ciò che non giunge alla parola e proprio perché non si lascia codificare dal linguaggio abituale, è l’assolutamente nuovo che turba la quiete?

Noi, che diciamo di amare le novità, in realtà ci teniamo assolutamente lontani dall’insolito, dall’inusuale, dall’imprevisto, che sono i tratti con cui il nuovo si annuncia e, nel suo annunciarsi inquieta.

U. Galimberti
Da La Repubblica