David Foster Wallace aveva preconizzato questa distorsione dell’ironia:
«Chiunque abbia l’eretica sfacciataggine di chiedere a un ironista che cosa sostiene veramente finisce per sembrare una persona isterica o pedante. E in questo sta l’oppressione dell’ironia istituzionalizzata, di una rivolta troppo riuscita; la capacità di interdire la domanda senza occuparsi del suo oggetto, nel momento in cui viene esercitata, non è altro che dittatura».
Una via d’uscita rapida al conflitto, che anestetizza e rende insensibili alla complessità. Ogni cosa può essere liquidata in un gigantesco LOL (risata, ndr): ma dietro tutta questa sagacia si nasconde una forma un po’ meschina di potere.
Certo, questo ricorso continuo all’ironia ha qualcosa di appagante: se do dell’imbecille a qualcuno, troverò sempre un terzo disposto a darmi di gomito.
Sbeffeggiare pubblicamente gli altri non è mai stato così semplice, e può sembrare liberatorio. Anche perché non c’è difesa alcuna contro il sarcasmo: che io reagisca con una battuta o cercando di argomentare, il mio avversario può semplicemente continuare a darmi dell’imbecille. Conosciamo tutti questa dinamica. L’errore grave — una vera pigrizia del pensiero — sta nel ritenerla un’arma efficace contro le storture del sistema o gli abusi di potere.