Qui non servono corsi di formazione che non fanno che rafforzare la ragione strumentale, qui serve la consulenza filosofica, scrive Vitello, che, ampliando la visione del mondo di quanti operano in un’organizzazione, genera ideazioni più ampie, immaginazioni più ricche, motivazioni più sentite, capaci di rispondere a quella domanda angosciante e quotidianamente trattenuta che, negli ambienti di lavoro, si chiede: “Che ci faccio io qui?”.
E questo non solo nell’interesse delle persone che lavorano, ma anche nell’interesse delle organizzazioni, che non possono pensare di superare periodi di stagnazione e depressione economica utilizzando unicamente il pensiero calcolante capace solo di far di conto. Le idee non scaturiscono dai calcoli, ma dall’immaginazione, che non nasce da persone ridotte a esecutrici di strategie, ma da persone che, proprio perché riconosciute come tali, attivano, oltre al loro sentimento, anche il loro pensiero, in termini decisamente più produttivi di quanto non sia l’ideazione oggi affidata alle sole menti esauste dei pubblicitari.
Per rianimare le aziende forse occorrono meno pubblicitari e più filosofi, capaci di persuadere le leadership a disattivare il pilota automatico del sapere già disponibile e delle mappe concettuali già collaudate. Questo faceva Socrate quando girava per Atene e provocava i suoi concittadini allo scopo di risvegliarli dal torpore mentale delle loro idee, che non avevano altra solidità se non la consuetudine. Con loro non scambiava opinioni per giungere a una decisione, ma sospendeva la decisione per allargare la visione in cui collocare il problema con parametri nuovi, che nascevano dall’aver indagato innanzitutto se il problema era davvero un problema e, nel caso, se la soluzione non fosse da cercare in un altrove fino allora insospettato per non aver abbastanza indagato.