La contrapposizione tra queste due visioni – macchina per far soldi contro essere vivente – porta alla luce tutta una serie di assunti di base sul management e sulle organizzazioni.
Credo che tutti noi usiamo l’assunto della macchina senza averci mai pensato. Così facendo probabilmente modelliamo il destino delle singole organizzazioni più di quanto immaginiamo.
Per esempio, una macchina è di proprietà di qualcuno. E noi siamo abituati a pensare alle aziende in questa maniera: esse appartengono ai loro proprietari solitamente diversi dai membri dell’azienda. Ma cosa significa dire che un essere vivente appartiene a qualcuno? Nel mondo, la stragrande maggioranza delle persone considererebbe profondamente immorale l’idea che una persona sia proprietaria di un’altra persona. Con un’azienda non è forse ugualmente problematico?
Una macchina esiste per lo scopo concepito dai suoi costruttori. Così è anche la visione convenzionale di un’azienda: il suo scopo è far più soldi possibile per i suoi proprietari. Ma gli esseri viventi hanno un loro proprio scopo. Questo scopo intrinseco non può essere completamente soppiantato dai fini di un altro anche se gli esseri viventi possono adeguarsi ai fini altrui. Cosa succede all’energia vitale di un essere vivente quando non è in grado di perseguire il suo fine?
Per essere efficace una macchina deve poter essere controllata dai suoi operatori. E questa è la sostanziale raison d’être del management: controllare l’impresa. Ma gli essere viventi non sono controllabili come una macchina. (Coloro che dubitano di questo assunto possono pensare a quanto successo hanno nel controllo dei loro figli adolescenti). Gli esseri viventi sono “influenzabili”, ma solo attraverso complessi processi di interazione che possono cambiare sia colui che influenza sia colui che è influenzato. La lotta per il controllo non è forse la radice della politica e dei giochi di potere che si svolgono in molte aziende?
Vedere un’azienda come una macchina implica che questa è stata creata da qualcuno all’esterno. Ed è esattamente così che la stragrande maggioranza delle persone vede i sistemi e le procedure aziendali: come qualche cosa creato dal management e imposto all’organizzazione.
Vedere una società come un essere vivente implica che l’essere vivente crea i propri processi così come il corpo umano produce le proprie cellule che a loro volta compongono i suoi organi e i sistemi corporei. E questo non è forse il modo in cui nascono le organizzazione informali all’interno delle grandi aziende?
Le reti di relazioni e i canali di comunicazione indispensabili ad ognuno per svolgere il proprio lavoro sono senz’ombra di dubbio creati dalle persone stesse.
Vedere un’azienda come una macchina implica che essa è ferma, statica. Può cambiare solo se qualcuno la cambia. Vedere un’azienda come un essere vivente significa che essa si evolve naturalmente.
Vedere un’azienda come una macchina implica che il solo senso di identità è quello dato dal costruttore. Vedere un’azienda come un essere vivente significa che ha un proprio senso di identità, una sua personalità.
Vedere un’azienda come una macchina implica che le sue azioni sono di fatto reazioni agli scopi e alle decisioni prese dal management. Vedere un’azienda come un essere vivente significa che ha scopi e capacità per operare autonomamente.
Vedere un’azienda come una macchina implica che potrebbe esaurirsi a meno che non venga ricostituita dal management. Vedere un’azienda come un essere vivente significa che ha capacità di rigenerarsi e darsi continuità come entità identificabile al di là dei suoi attuali membri.
Vedere un’azienda come una macchina implica che i suoi membri sono semplici lavoratori o peggio “risorse umane”, persone di riserva in attesa di essere usate. Vedere un’azienda come un essere vivente porta a vedere i suoi membri come comunità di lavoro umane.
La metafora della macchina è così forte che plasma il carattere di molte aziende. Esse sono diventate sempre più macchine che esseri viventi perché così vengono pensate dai loro membri.
Quindi forse il nostro primo mandato è cambiare il nostro modo di pensare.