Apnea
Quando il corpo rimane fuori dal posto di lavoro...
Il tram ha imboccato il rettilineo di Via Stratico, chiudo il libro che sto leggendo. Pioviggina. Devo ricordarmi di non dimenticare l’ombrello; odio gli ombrelli, infesciano, quando sono aperti è un continuo alzarli, abbassarli, spostarli a lato; quando sono chiusi e bagnati non si sa dove metterli: non puoi tenerli troppo vicino perché ti bagnano le gambe, non puoi tenerli troppo lontano perché bagnano le gambe degli altri; se non piove bisogna ricordarsi di non lasciarli in giro.

E’ così piacevole sentire la pioggia sulla faccia, sulle mani; ma il montone si rovina; è un montone bellissimo, di un caldo grigio ferro, con collo e polsi di volpe, molto elegante. A Sharon e Gaia piace molto uscire con me quando lo porto, dicono che se non fosse per il mio orribile cappello blu da marinaio sarei una mamma quasi perfetta. A me piace il mio cappello blu da marinaio sdrammatizza un po’ la pomposità del montone che penso non sia proprio nel mio stile, non mi sento “signora” elegante; ma certo quando salgo sul tram o entro in qualche negozio sento che la gente mi guarda con apprezzamento.

Guardo fuori dal finestrino, le automobili sfrecciano come se fossimo in autostrada; hanno tutti fretta, corrono per andare da qualche parte; non c’è tempo da perdere.

Anche il tram corre, fra due fermate c’è il capolinea; il guidatore potrà scendere, sgranchirsi le gambe, forse fumarsi una sigaretta prima di risalire e fare il viaggio a ritroso attraverso la città fino all’altro capolinea e poi ritornare e riandare fino alla fine del suo turno ma sempre impaziente davanti ad eventuali intoppi; non c’è tempo da perdere, c’è una tabella di marcia da rispettare, incitato silenziosamente dai passeggeri attenti a rallentamenti, fermate fuori programma, ritardi. “Dai, su, abbiamo fretta, dobbiamo andare, dobbiamo arrivare presto.” Ecco la fermata, scendo.

Faccio mentalmente l’inventario per vedere se ho preso tutto: ombrello: sì, libro: sì, borsetta: sì. Metto la borsetta a tracolla sulla spalla; apro l’ombrello; attraverso la strada.

Sono a circa cento metri dal portone dell’ufficio, mi fermo, apro la borsetta, tolgo il pacchetto di sigarette, cerco l’accendino, quasi mi cade il libro, l’ombrello ondeggia, lo appoggio sulla spalla cercando di non farlo cadere, estraggo la sigaretta dal pacchetto. E’ lunga e costosa, riuscirò si e no a fumarne la metà. Uno spreco. Potrei rimetterla via. Ma poi non posso più fumare fino a quando esco a prendere un caffè fra due o tre ore. Non ho neppure molta voglia di fumare. Sento ancora in bocca il sapore buono del cappuccino e della brioche presi da poco. La sigaretta lo rovinerebbe. poi fumare mi fa male, mi impuzza gli abiti, le dita, la pelle, l’ambiente, oltre tutto è così stupido.

Sì è stupido, inutile, dannoso, costoso, e allora? Allora una persona sensata, affidabile, intelligente come me non dovrebbe fumare. Be’, invece fumo, invece sono stupida, invece mi faccio male, invece trasgredisco.

Mi ribello al dover: dover essere, dover andare in ufficio, dover arrivare in orario, dover essere efficiente, dover essere competente, dover essere educata, dover essere ammodo, dover dire cose intelligenti, dover essere carina, dover essere piacevole, dover essere allegra, dover essere spiritosa, dover essere dignitosa, dover essere generosa, dover essere sensata, dover essere affidabile, dover mantenere la parola data, dover essere onesta, dover essere responsabile, dover essere disponibile, dover sapere, dover capire, dover essere comprensiva, dover essere buona, dover essere coraggiosa, dover essere consapevole, dover lavorare, dover guadagnare, dover fare meditazione, dovermi lavare, dover dormire, dover mangiare, dover essere felice, dover essere qui, dover esistere. Mi accendo la sigaretta.

Poter essere altrove. Non dover far nulla, lasciare che le cose accadano per loro conto, essere libera dal tempo, dal fare, dall’essere uno stereotipo. Fermarmi se mi voglio fermare, andare se voglio andare; sentire senza fretta, senza tempo, odori, colori, suoni. Essere libera di ascoltare, sentire e mostrare le mie emozioni. Poter avere tempo, potermi dare tempo, poter stare con quello che c’è.

La pioggia continua a cadere. Sono arrivata dinanzi al portone d’ingresso. Dall’altra parte della strada gli alberi, che solo due mesi fa erano una macchia bellissima di giallo, marrone dorato e verde profondo, sono spogli e neri. Mi fermo sempre a guardarli, sembra che emanino un profumo diverso a seconda del tempo e della stagione. Li saluto. Devo andare. Spengo la sigaretta; chiudo l’ombrello; raddrizzo le spalle; suono il campanello. Inizia un’altra giornata.

l. petenzi