Le due logiche
Come cambia il nostro comportamento in base alla logica che ci caratterizza.

Nel 1944, più di dieci anni prima dell’eroico gesto di Rosa Parks sull’autobus di Montgomery, Jackie Robinson, allora tenente dell’esercito, comparve davanti alla corte marziale perché si era rifiutato di spostarsi nel retro di un autobus. L’autista «mi gridò che se non fossi andato in fondo all’autobus mi avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora», ricordò poi Robinson. «Gli dissi chiaro e tondo che non poteva importarmene di meno.» Raccontava in termini analoghi la sua corsa folle verso la casa base nel primo incontro delle World Series: «A un certo punto ho deciso di movimentare un po’ la partita. Non era la strategia migliore, rubare casa base con la squadra in svantaggio di due punti, ma l’ho fatto lo stesso. Non mi importava niente se ci riuscivo o no.»

Queste frasi, «non poteva importarmene di meno» e «non mi importava niente», sono rivelatrici dell’approccio di Jackie Robinson al rischio. Secondo James March, illustre docente di Stanford, al momento di prendere una decisione la maggior parte di noi adotta una logica basata sulle conseguenze: quale azione produrrà i risultati migliori? Se invece siete come Robinson, cioè vi opponete costantemente allo status quo, userete piuttosto una logica basata sulla pertinenza: cosa fa una persona come me in una situazione come questa? Anziché guardare all’esterno per cercare di prevedere l’esito dell’azione vi rivolgete all’interno, verso la vostra identità. Basate la decisione su chi siete o su chi volete essere.

Quando usiamo la logica delle conseguenze, troviamo sempre buoni motivi per non rischiare. La logica della pertinenza ci rende più liberi: pensiamo meno al risultato voluto e agiamo in base a una percezione.

Adam Grant