È noto, per esempio, che i superdotati vanno male a scuola, perché il modello di intelligenza che i professori hanno in mente e su cui misurano i rendimenti scolastici è costruito sulla categoria della “flessibilità” che nel caso dell’intelligenza equivale a “mediocrità”. Flessibile è infatti quell’intelligenza che, versata in ogni direzione, non presenta una particolare inclinazione per nulla, e perciò è in grado di dispiegarsi a ventaglio su tutto perché nulla la inclina in modo decisivo.
Così si stroncano inclinazioni sull’altare della genericità, che non è il nozionismo contro cui si sono fatte in anni passati stupide battaglie, ma la supposizione che l’intelligenza sia una dimensione versatile e versata per qualsiasi contenuto.
Non è così! Così come non è da privilegiare, come fa la nostra scuola, l’intelligenza “convergente”, che è quella forma di pensiero che non si lascia influenzare dagli spunti dell’immaginazione, ma tende all’univocità della risposta a cui tutte le problematiche vengono ricondotte.
Più interessante, anche se meno apprezzata a scuola, è l’intelligenza “divergente” tipica dei creativi, capaci di soluzioni molteplici e originali, perché invece di accontentarsi della soluzione dei problemi tendono a riorganizzare gli elementi, fino a ribaltare i termini del problema per dar vita a nuove ideazioni.