Creiamo le nostre vite simbioticamente mentre esploriamo i nostri talenti, in relazione alle circostanze che essi hanno contribuito a creare. Ma siamo diventati ossessionati da questa storia della linearità. E probabilmente il pinnacolo dell’istruzione consiste nell’andare all’università. Credo che siamo ossessionati dall’idea di mandare le persone all’università, a certe università. Non voglio dire che non ci si dovrebbe andare, ma che non tutti devono farlo e non tutti devono andarci subito. Magari più avanti, non immediatamente.
Qualche tempo fa ero a San Francisco per autografare il mio libro. E lì c’era un tizio, sulla trentina, che aveva comperato il libro. E io gli dico: “Che lavoro fa?”. E lui dice: “Sono un pompiere”. E io: “Da quanto tempo è un pompiere?” E lui: “Da sempre, lo sono sempre stato”. E io dico: “Ma quando ha deciso di diventarlo?” E lui: “Da bambino. Veramente per me era un problema a scuola, perché a scuola tutti volevano fare il pompiere da grande. Ma io volevo davvero fare il pompiere.” E poi: “Quando arrivai agli ultimi anni della scuola, i miei insegnanti non mi presero sul serio. Un certo insegnante non mi prese sul serio. Disse che avrei buttato via la mia vita se avessi scelto di fare questo, che avrei dovuto andare all’università e diventare un professionista, che avevo un grande potenziale e avrei sprecato il mio talento altrimenti.” E aggiunge: “Era umiliante perché lo disse di fronte a tutta la classe e io ci rimasi molto male. Ma era ciò che davvero volevo e, appena finita la scuola, feci domanda per entrare nei Vigili del Fuoco e fui accettato.” E poi: “Sa una cosa, stavo pensando a quell’insegnante qualche minuto fa, mentre lei parlava” dice, “perché sei mesi fa gli ho salvato la vita. Era tra i rottami della sua automobile, l’ho tirato fuori e ho praticato la rianimazione cardiopolmonare. E ho salvato anche la vita di sua moglie.” Aggiunge: “Credo che adesso abbia una migliore opinione di me.”