L’altra scuola
Che ovviamente non ha la minima possibilità di essere realizzata.

Premettendo dunque quel fatidico dubbio per cui non siamo affatto certi che sia un bene perdere la capacità di pensare, io finirei con un’utopia che chiamerei, per amore di Virginia Woolf, l’utopia della Scuola…Stanza tutta per sé!

Era lei, Virginia, che auspicava per scrivere (per leggere, per pensare) «una stanza tutta per sé», un luogo chiuso e isolato dal resto del mondo, dove far correre i pensieri.

Mi piace quest’immagine, e mi serve per indicare, nel senso buono, esattamente il contrario di scuola aperta: una scuola che, almeno per certe materie (la mia innanzitutto), almeno per qualche ora al giorno, costruisce dei veri e propri muri, al riparo dal mondo esterno e da ogni sorta di collegamento.

Funzionerebbe così: si fa scuola al mattino, ma poca, tre o quattro ore al massimo, molto concentrate e toste; si mangia insieme allegramente e poi al pomeriggio…tutti nella propria stanza!

Si sta a scuola il pomeriggio, sì (così risolviamo anche il problema – squisitamente sociale più che didattico – del tempo pieno), ma isolati e fermi. Molto fermi: chiusi. Rintanati.

Ogni allievo ha a sua disposizione una deliziosa tana-cameretta, con i muri tutti bianchi e un’enorme finestra per guardare fuori. Null’altro, se non una bella scrivania con la lampada, una piccola libreria a muro, una poltrona comoda e forse anche un gatto da accarezzare.

Sì, un morbido gatto per ogni allievo.

Niente computer, niente musica, niente telefonino, niente play station, game boy o altre diavolerie, niente tivù.

Tutti soli e scollegati. Tre ore al giorno, per studiare quel che al mattino si è fatto a lezione, e per pensare a quel che si è studiato. Magari leggere un libro e, qua e là, anche scrivere quel che viene in mente. Senza consegne, griglie, tracce e numero di righe.

Studiare, leggere, scrivere e pensare. Molto pensare… Magari in poltrona, guardando fuori e accarezzando il gatto.

Poi basta.

P. Mastrocola
da La scuola spiegata al mio cane