E così facendo mettere in discussione quello che socialmente, oggi, non si usa discutere: le autorità senza merito o prive di autorevolezza; le carriere medianiche; i poteri impropri delle servitù politiche. Ma a cantare fuori dal coro, si rischia. Proprio perché i poteri sono diventati casi personali, così ritagliati sui ruoli che si occupano, e così incistati in gruppi di appartenenza stretti, al limite del clan, da non offrire spazi di confronto che non vengano vissuti come attacco alla propria legittimazione. I capi, quanto più sono insicuri di sé e dei modi della loro carriera, tanto meno tollerano delusioni.
E così, meglio il controllo stretto, senza spazi per inutili divagazioni e disposizioni. Occupare tutto, dei propri collaboratori, il corpo e la mente. Altroché insegnare. Perché, se ha testa, si farà un giudizio. Se ha spazio,ci proverà. E questo scompaginerebbe tutte le regole del gioco. Quelle “sane”.
Il vero maestro, invece, vive sapendo che ci sarà un allievo che prima o poi lo sostituirà: e questo dovrebbe essere la misura del suo successo.