Oh, conosco bene quelli che vengono spacciati per problemi durante l’ora di matematica, conosco quegli «esercizi» insipidi.
«Questa è una tipologia di problema, e questo è il modo per risolverlo. Sì, sarà inserito nella verifica. Per casa fate gli esercizi dispari dall’uno al trentacinque.» Che modo triste di imparare la matematica: gli studenti si riducono a essere delle scimmie ammaestrate.
Ma un problema, un quesito autentico, lineare, genuino, umano, è tutta un’altra cosa.
Un buon problema è qualcosa che non si sa come risolvere. È questo che ne fa un valido enigma, e una valida opportunità. Un buon problema non rimane isolato, ma funge da trampolino per altri quesiti interessanti.
Posso capire l’idea di preparare gli scolari a padroneggiare alcune tecniche, anch’io lo faccio. Ma non in maniera fine a se stessa. In matematica, così come in qualsiasi arte, la tecnica andrebbe imparata all’interno del suo contesto. I grandi problemi, la loro storia, il processo creativo: è questo lo scenario appropriato. Date ai vostri studenti un buon problema, lasciate che si sforzino di risolverlo, che si sentano frustrati. Osservate quello che riescono a inventarsi. Aspettate finché il loro desiderio di trovare un’idea non si fa insopportabile, e solo allora fornite loro qualche strumento. Ma non troppi.