Chi, sapendo un po’ più di informatica o di latino di quanto ne sappia il compagno di banco, non cerca di passargli il tema resterà probabilmente per sempre una piccola carogna (il termine appropriato sarebbe un altro, più colorito e disdicevole) e magari si convincerà che quel voto in più sulla sua pagella, casuale e precaria come ogni pagella, sia chissà cosa: ossia diventerà un imbecille.
Se agli scolari tocca copiare, agli insegnanti tocca impedirlo, e il gioco va bene se ognuno fa ciò che gli spetta, senza bollare la copiatura come un crimine e senza rivendicarla come un diritto contro la repressione scolastica. Le cose si guastano invece quando tutti vogliono fare tutto e la scuola, o l’esistenza intera , diventa un Comitato universale permanente, in cui i docenti esortano gli alunni a manifestare la loro creatività rifiutandosi di studiare e gli alunni si mettono al posto dei docenti per rinnovare pedagogicamente la scuola, anziché marinarla ogni tanto, o lamentano che in classe non si leggano autori contemporanei, come se la scuola fosse una mucca da cui succhiare ogni latte e non fosse possibile leggere qualcosa per conto proprio.
In questo non ci si diverte più, come non ci si divertirebbe a scopone se ogni giocatore, anziché cercare di far scopa, primiera e settebello, cercasse di far vincere gli altri per evitar loro frustrazioni. E se non ci si diverte si impara poco.