Uomo politico, scienziato, architetto, autore della Dichiarazione d’Indipendenza americana, fondatore di un’università (in Virginia) e di un partito (quello democratico), Jefferson era la reincarnazione dell’Uomo Aristotelico o Rinascimentale: l’individuo dotato di sapere universale, che eccelle in qualsiasi campo.
Avere vasta cultura e capacità poliedriche: per due millenni, questo è stato il segno distintivo di una mente superiore. Sennonché nell’odierna era dell’iper-specializzazione, le qualità che in Leonardo da Vinci denotavano il genio sono diventate un difetto per tutti gli altri: oggi il generalismo è considerato un limite allo sviluppo scientifico e gli intellettuali che sanno tutto di tutto sembrano una specie in via di estinzione. Ma siamo sicuri che la scomparsa del tuttologo sia un vantaggio, e non una perdita, per il pensiero umano?
E’ vero che la maggioranza degli scienziati e dei pensatori odierni dedicano le loro carriere a risolvere problemi sempre più complessi in campi sempre più ristretti, e che questa tendenza, in atto da decenni, ha portato a enormi risultati in relativamente poco tempo. Ma le svolte nella scienza e nell’arte, il genere di idee che aprono prospettive inedite, osserva la rivista britannica, vengono spesso aiutate da uno sguardo nuovo o da una miscela di esperienze.
La scoperta del Dna, per esempio, è maturata dal matrimonio tra fisica e biologia. L’Institute for Advanced Studies dell’Università di Princeton, la facoltà dove studiava e insegnava Albert Einstein, ha cambiato la disposizione dei suoi laboratori per fare in modo che specialisti di materie diverse lavorino gomito a gomito.